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Carla Callegari – Identità, cultura e formazione nella Scuola ebraica di Venezia e di Padova negli anni delle leggi razziali – 2002

Carla Callegari
Padova, CLEUP, pp. 382, euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2002

Tema del volume è l’esperienza umana e intellettuale della Scuola ebraica di Venezia e di Padova attiva dal 1938 al 1943, dopo che l’entrata in vigore delle leggi razziali determinò l’espulsione dei giovani ebrei dalle scuole italiane di ogni ordine e grado. In virtù della nuova legislazione solo gli studenti universitari e quelli degli istituti superiori potevano terminare gli studi intrapresi. Il corpo insegnante veniva epurato, le pubblicazioni di autori ebrei censurate ed eliminate dall’uso didattico. La Scuola Ebraica fu un particolare esperimento che nei due mesi successivi all’emanazione delle leggi razziali si sviluppò in varie parti d’Italia. Come emerge dallo studio della Callegari, la Scuola, oltre ad occuparsi di istruzione, fu in grado di incidere nelle coscienze degli alunni e nella formazione profonda della loro identità individuale e sociale. Evidente è, infatti, l’attenzione rivolta alla riscoperta della natura e del significato di una identità ebraica spesso sepolta negli anni precedenti alle leggi razziali, tema questo che ritorna come filo conduttore di tutto il volume. Scelta particolarmente felice, da questo punto di vista, è stata quella di integrare le fonti archivistiche con i contributi offerti dalle fonti orali, con i ricordi e le narrazioni di studenti e insegnanti che alla Scuola ebraica hanno legato indelebilmente l’esperienza di quegli anni, pure segnati dalla drammaticità e dagli orrori delle deportazioni e dei campi di sterminio. Le testimonianze raccolte ci parlano della riscoperta di un mondo a volte totalmente ignorato, di tradizioni, cultura religiosa, ritualità per molti estranee alla vita quotidiana, e della riappropriazione delle proprie radici familiari. Accanto alla dimensione di segregazione e di isolamento, anche culturale, e alla diffusa e continua atmosfera di paura che si percepiva, appare decisa la volontà di non rinunciare al proseguimento negli studi, come per affrancarsi con una sorta di emancipazione individuale dall’esclusione messa in atto dal regime. Altro punto cardine del libro, che apre molte possibilità di comparazione con la situazione nazionale ed europea, è l’attenzione alla condizione infantile nella prima metà del Novecento. Il tema moltiplica gli interrogativi sulle relazioni tra infanzia, educazione e istruzione, ma anche sui rapporti tra scuola e regime. La volontà di appiattimento uniforme del fascismo, nel tentativo di eliminare e ghettizzare la diversità, sembra aver involontariamente prodotto in questo caso un’oasi di libertà culturale. Il mantenimento e la trasmissione della cultura ebraica, e allo stesso tempo l’eliminazione degli insegnamenti più coercitivi dell’educazione fascista, come la cultura militare e, per ovvi motivi, della religione cattolica, permisero la sopravvivenza di una scuola meno oppressa dall’ingerenza del regime.

Michela Innocenti