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Carla Forti, Vittorio Haiim Luzzatti – Palestina in Toscana. Pionieri ebrei nel Senese (1934-38) – 2009

Carla Forti, Vittorio Haiim Luzzatti
Firenze, Aska, 174 pp, Euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2009

Sono molti i meriti di questo volume, dedicato ad una pagina sinora poco nota della storia dell’ebraismo europeo: le vicende di circa 200 giovani ebrei, principalmente tedeschi, ma anche polacchi, cecoslovacchi, austriaci, e di altri paesi dell’Est Europa, che tra il 1934 e il 1938 trascorsero alcuni mesi di preparazione agricola in una hachsharah (centro di addestramento) creata in Toscana, precisamente a Ricavo di Castellina in Chianti, in provincia di Siena. Abbandonati i propri paesi con l’intenzione di emigrare nella Palestina sotto mandato britannico, la scelta di questi giovani e dell’organizzazione incaricata di gestire il loro soggiorno cadde sull’Italia per due ragioni principali: il clima era simile a quello che avrebbero trovato in Eretz Israel, la terra di Israele che il movimento sionista aveva identificato come sede di un futuro Stato ebraico, e la penisola italiana costituiva un punto di passaggio quasi obbligato nell’avvicinamento verso la Palestina.Grazie ad un approfondito scavo documentale, condotto in numerosi archivi sia in Italia sia in Israele, e ad una serie di interviste ai protagonisti di quegli eventi, i due aa. ricostruiscono la nascita della hachsharah sotto la direzione del movimento kibbutzista religioso Bachad (Brith Chalutzim Datiim, la Lega dei pionieri religiosi), descrivono la vita quotidiana di questi 200 ragazzi e ragazze di estrazione borghese nel difficile compito di imparare il lavoro dei campi, e mettono in luce i rapporti che i giovani che si avvicendarono in Toscana ebbero con gli ebrei italiani, fossero i loro coetanei che nello stesso periodo pensavano all’emigrazione in Palestina, o gli esponenti delle principali istituzioni sioniste, grazie ai quali tale esperienza poté trovare concreta realizzazione.Il volume costituisce un ritratto approfondito e variegato dell’esperienza dell’hachsharah, idealizzata nei racconti di alcuni dei protagonisti e ridimensionata nella descrizione di altri, ma riesce anche nella difficile impresa di utilizzare una vicenda privata per mettere in luce, a livello generale, le frammentazioni e le contraddizioni presenti nel sionismo. Da un lato, viene presentata la spaccatura tra coloro che volevano conciliare la scelta dell’esperienza collettivista e socialista del kibbutz con quella dell’osservanza religiosa, e coloro che ritenevano l’osservanza un retaggio da superare una volta giunti in Eretz Israel. Dall’altro, viene sottolineato come fosse assente dall’orizzonte dei giovani interessati ad emigrare in Palestina l’elemento che pure avrebbe rappresentato – allora come oggi – «il problema maggiore: quello del rapporto con la popolazione locale non ebraica [?], la popolazione araba di Palestina che all’epoca, e per molto tempo ancora, nessuno avrebbe chiamato ?palestinese”» (p. 124). Una scelta coraggiosa, quella dei due aa., di rilevare come la sottovalutazione e/o il disinteresse per la popolazione araba presente in Eretz Israel avrebbe portato allo scoppio di un conflitto ancora irrisolto, sostanzialmente perché non si è ancora data «risposta alle giuste ragioni di entrambe le parti, ebrei e palestinesi» (p. 124).

Arturo Marzano