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Carlo Agliati – Il ritratto carpito di Carlo Cattaneo – 2002

Carlo Agliati
Bellinzona, Edizioni Casagrande, pp. 142, euro 13,70

Anno di pubblicazione: 2002

Diciamo spesso che la politica di oggi è ormai ridotta alla comunicazione, che la comunicazione è ridotta all’immagine, che l’immagine è ridotta al corpo. Ma non si tratta affatto di novità. Senza scomodare l’epigrafia greca, la statuaria romana o la propaganda del Re Sole, se appena risaliamo al diciannovesimo secolo e guardiamo al nostro Risorgimento, già riscontriamo il tema della rappresentazione (e dell’auto-rappresentazione) del potere attraverso icone carismatiche.
Dopo l’Unità italiana, l’interprete più geniale della lotta politica come semiotica corporale fu il medico-patriota Agostino Bertani. Nel 1872, mezzo secolo prima che i bolscevichi di Mosca pensassero di imbalsamare il cadavere di Lenin e di esibirlo sulla piazza Rossa, Bertani ebbe la stessa idea per il cadavere di Giuseppe Mazzini: lo fece ?pietrificare?, e cercò di esporlo come un corpo-monumento nel cimitero genovese di Staglieno. Tre anni prima, a Lugano, era toccato a Bertani di chiudere gli occhi di un altro protagonista delle battaglie risorgimentali, Carlo Cattaneo; ed anche in questo caso, il medico-patriota tentò di promuovere intorno all’immagine del santo laico qualcosa come un culto postumo.
Nel prezioso volumetto dell’archivista ticinese Carlo Agliati, appunto si legge della maschera di gesso formata sul viso dell’esule lombardo subito dopo la sua morte, secondo il gusto tutto ottocentesco dell’ ?ultimo ritratto?; della speculazione commerciale intrapresa dall’artista ? l’esule polacco Carlo Saski ? chiamato da Bertani a compiere il calco funerario; del ritratto a carboncino che ?questo povero ebreo?, per ?svergognata cupidigia? (così gli amici di Cattaneo), ricavò dalla maschera mortuaria (p. 24); della fotografia che Saski stesso ne trasse, ma ritoccandola negli occhi affinché sembrassero aperti, perché il morto sembrasse vivo. E ancora si legge della decisione di Bertani di ripartire dalla maschera funeraria per erigere, grazie al talento dello scultore ticinese Vincenzo Vela, un monumento che fosse degno della grandezza di Cattaneo: salvo contentarsi del busto (opera d’altri) che ancora si vede al famedio del cimitero monumentale di Milano.
L’ostinazione degli amici nel promuovere il culto postumo di Cattaneo era tanto più grave in quanto, da vivo, questi era rifuggito dal compiacimento di se stesso; addirittura, dicendosi ?iconoclasta fanatico? (p. 37), aveva sempre rifiutato di farsi fotografare. Uomo di studio più che uomo d’azione, protagonista quasi per caso delle Cinque Giornate milanesi del 1848, il Cattaneo dell’esilio ventennale aveva cercato ? con impressionante consapevolezza ? di trasmettere ai propri eredi politici non un’immagine, ma una filosofia. Altrettanto consapevolmente, uomini come Bertani si impegnarono in uno sforzo uguale e contrario. Pietrificando il corpo di Mazzini con sali minerali, ?rubando? un ritratto al cadavere di Cattaneo, vollero ridurre l’idea repubblicana a un’icona, la politica a una strategia mediatica. Aveva un bel dire Cattaneo: ?Io, filosofo autentico e patentato, aborrendo la fotografia per principio, non posso poi contraddirmi come un ministro, ammettendola per me? (p. 38). Il futuro apparteneva non ai filosofi, ma a ministri fin troppo fotografati.

Sergio Luzzatto