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Carlo Galeotti – Mussolini ha sempre ragione. I decaloghi del fascismo – 2000

Carlo Galeotti
Garzanti, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

I decaloghi, nota giustamente Galeotti, dovevano servire allo scopo di indottrinare gli italiani, trasformandoli in “credenti” nel fascismo. Il modello era, ovviamente, quello della chiesa cattolica, con i suoi catechismi destinati alle masse. Ma non manca, Galeotti, di ricordare che anche nel triennio rivoluzionario 1796-1799 erano fiorite iniziative analoghe per spiegare in parole semplici al popolo la “buona novella” giunta da Parigi. Certo è che il fascismo cominciò già nel ’23 a sfornare “libri di dottrina”, affidandosi anche a “penne illustri”, come Leo Longanesi, o i segretari del Pnf Turati e Giuriati, o il noto Guido Pallotta (quello del “non aver paura di aver coraggio”), segretario del Guf di Torino e fondatore della rivista “Vent’anni”, o Arnaldo Mussolini (col suo Decalogo dell’italiano nuovo), o addirittura il duce stesso. Ai frequenti decaloghi per balilla, avanguardisti, giovani fascisti, militi, si aggiunsero quelli per i fascisti all’estero, per i lavoratori italiani in Africa Orientale, per la famiglia. Un po’ in tutti è evidente l’evoluzione della mitologia politica del regime nel corso degli anni venti e trenta. Intendiamoci: “Mussolini ha sempre ragione” è e resta il cuore di questo abbecedario del culto fascista, sia pure passando dalla dimensione di capo eccezionale a quella di una sorta di titano, cui tutto è consentito. Ma la totalitarizzazione crescente del regime è facilmente rilevabile anche in altri campi.
Prendiamo quello, apparentemente fuori discussione, della donna. Il modello di sposa e madre esemplare non viene mai meno; ma nella seconda metà degli anni trenta la “funzione” domestica diventa anch’essa “politica”, perché “politica” è considerata la funzione della famiglia, fucina del cittadino-soldato. Il quale, a sua volta, non è più solo lo strumento di affermazione della volontà di potenza dell’Italia, ma il “crociato” dell’idea fascista nel mondo, di cui la stessa volontà di potenza italiana tende a divenire funzione. Così, in un decalogo della famiglia del ’41, si legge: “Il numero è potenza. 1. La prima cellula della razza è la famiglia. […]. 2. La famiglia è l’unità di misura della potenza materiale e morale della nazione […]. 6. La famiglia non nasce col matrimonio; nasce solamente col primo figlio. 7. La famiglia è lo Stato nella sua più minuscola espressione; è la corporazione in miniatura […]. 10. Quando diciamo famiglia dobbiamo soggiungere “fascista”; questo aggettivo completa e garantisce il sostantivo” (pp. 224-225). Non stupisce, allora, che al lavoratore italiano in Africa Orientale venisse raccomandato di “difendere la stirpe” e di “non dare alla Patria una degenere discendenza”, mescolandosi con le indigene. E se il Decalogo razzista sentenziava che gli ebrei “non appartengono alla razza italiana” (p. 209), con tutte le ignobili conseguenze del caso, quello della piccola italiana ricordava: “8. La donna è la prima responsabile del destino di un popolo […]. 10. La donna italiana è mobilitata dal Duce al servizio della Patria” (p. 193).

Paolo Nello