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Carlo Gentile, Wehrmacht und Waffen-SS im Partisanenkrieg: Italien 1943-1945

Carlo Gentile
Paderborn, Ferdinand Schöningh, 466 pp., € 44,90

Anno di pubblicazione: 2012

Dopo un quindicennio di intenso lavoro d’archivio, costellato da saggi su specifici
aspetti, e dopo essere stato consulente in occasione di vari processi, Gentile ha finalmente pubblicato la sua monografia, tanto attesa: un’attesa, che non viene delusa. Ci
offre un’opera imprescindibile per ogni futura ricerca. Lo studio si basa su una vastissima
ricognizione di archivi italiani e tedeschi, ma anche anglo-americani, e sulla conoscenza
approfondita della letteratura italiana e internazionale sulla guerra attuata contro i partigiani e contro la popolazione civile dalle truppe tedesche dopo l’8 settembre 1943.
È uno studio che apre prospettive nuove. Per la prima volta vengono messi sotto i riflettori gli occupanti dal punto di vista militare, nei loro comportamenti contro partigiani
e popolazione civile nell’Italia occupata. Per la prima volta le sofferenze della popolazione
vengono adeguatamente collocate non solo – come finora è accaduto – nel quadro della
lotta di resistenza, ma anche in un contesto più generale: l’andamento della guerra fra
gli Alleati e i tedeschi. Si è trattato di una «strana» guerra, combattuta senza impegnarsi
troppo da parte americana e inglese. Ma allo stesso tempo con fasi molto cruente; basti
pensare a Montecassino. La storiografia italiana finora aveva messo in primo piano la
dialettica fra azioni dei partigiani e reazioni degli occupanti. In secondo piano era stato
invece lasciato il fattore dello scontro militare più generale, che invece Gentile chiama in
causa come uno dei fattori salienti.
Altrettanto innovativo è il fatto che il lavoro di scavo di Gentile prenda le mosse dalle prime violenze attuate dopo l’armistizio, soprattutto nell’Italia meridionale e centrale.
Finora la storiografia si era concentrata sulle stragi dell’estate-autunno 1944; la monografia di Gentile ci consente di avere un panorama cronologicamente e territorialmente
più vasto. Infine, il libro è originale perché offre una prospettiva nuova per rileggere la
resistenza e i rapporti fra i partigiani e la grande massa della popolazione civile.
Il problema che l’a. si pone è capire «la motivazione» dei carnefici (p. 30), considerato che «da nessun’altra parte in Occidente» vi sono stati tanti eccessi nel periodo
d’occupazione come in Italia (p. 36). Egli analizza perciò gli ordini emanati dai comandi,
ricostruendone la disorganicità e le modalità con cui i reparti hanno obbedito. Ne emerge
un quadro articolato, che difficilmente può essere ricondotto a unitarietà. Singoli reparti
reagirono in modo diverso agli ordini, che erano più o meno radicali a seconda di circo-
Il mestiere di storico, V / 1, 2013
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stanze specifiche, ma anche riflettendo il contesto generale: la guerra «grande» contro gli
alleati e quella «piccola» contro i partigiani. Poi, vi sono profonde diversità fra reparti.
Infine, ci sono differenze fra le zone più vicine al fronte e quelle più arretrate. In generale,
nel primo caso la preoccupazione di mantenere il controllo delle linee di comunicazione
induceva a una maggiore radicalità.
Una prima parte del libro ricostruisce sulla linea del tempo le violenze esercitate nei
confronti dei civili, soffermandosi sui singoli ambiti regionali. Qui Gentile giunge, sulla
base di una sterminata documentazione, a conclusioni spesso inaspettate: mette in luce
l’estrema radicalità della violenza esercitata nelle regioni del Sud più vicine al fronte; nega
un nesso diretto fra attentato di via Rasella e una radicalizzazione della lotta anti-partigiana (p. 133); sottolinea il nesso fra accentuazione delle violenze e peggioramento della
situazione militare generale, sia nel settembre 1943 sul fronte di Cassino, che nell’estate
del 1944 dopo la liberazione di Roma. È in quest’ultima congiuntura che Kesselring
emana ordini draconiani che lasciano campo libero a qualsiasi arbitrio nei confronti dei
partigiani e dei Banditenhelfer. A questi ordini fa seguito la terribile sequenza di stragi
nell’Appennino tosco-emiliano, che hanno provocato l’uccisione di almeno 5.000 civili
(p. 149).
Gentile ricostruisce anche la «microcriminalità» nelle zone del fronte, fatta di rapine,
violenze sessuali, incendi di abitazioni e granai (pp. 157 ss.). Un vasto campionario di
nefandezze che è stato messo in ombra dalla predominante attenzione sulle stragi.
Il legame fra durezza della violenza verso i civili e attività militari delle bande partigiane è dimostrato dal fatto che durante l’inverno 1944-45 alla crisi del movimento partigiano corrisponde una generale attenuazione delle violenze (pp. 185 ss.). Al contrario,
nella fase finale del conflitto è l’esigenza di tenere aperte le vie di fuga a spiegare le stragi
«dell’ultima ora». Questa fase di violenze è costata circa 2.000 vittime.
Nelle altre parti del libro, Gentile riprende il suo tema da prospettive differenti: si
sofferma su singole unità militari e delle Waffen-SS cercando di capire dalle loro caratteristiche costitutive e dalla loro storia bellica pregressa le specifiche ragioni dell’imbarbarimento. Mette così in luce, soprattutto nelle Waffen-SS, l’incidenza del fattore ideologico,
leggibile dall’elevata percentuale di iscritti al Partito nazionalsocialista. Questi elementi
non sono in grado di spiegare pienamente le differenze di comportamento di un’unità
rispetto a un’altra; lo stesso può dirsi della loro storia bellica precedente: violenze furono
esercitate, in specifici momenti, sia da unità che avevano trascorso gli anni precedenti sul
fronte nord-africano, sia da unità reduci dal fronte orientale. Si sofferma altresì sul fattore
generazionale, osservando come reparti formati da militari molto giovani (come i reparti
ausiliari della Flak) siano protagonisti di stragi efferate.
Più di tutti i fattori ideologici o biografici ha contato l’«atmosfera di insicurezza o di
minaccia» in cui le unità della Wehrmacht operavano, dovendo fronteggiare un nemico
difficilmente riconoscibile e che godeva di ampie coperture da parte della popolazione
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(p. 406). Gli elementi ideologici hanno tuttavia fatto la differenza in situazioni similari.
Ad esempio, uccisioni di donne e bambini sono più numerose da parte della divisione
Reichsführer-SS rispetto ad altre unità, le cui azioni altrettanto violente hanno avuto per
obiettivi soprattutto maschi adulti.
In conclusione di questo libro davvero molto bello, Gentile scrive che «per l’emergere di un’azione violenta giocano un ruolo decisivo le disposizioni [ideologia, prassi bellica
precedente, NdR] ma se e quando si sia davvero arrivati a uno sbocco violento è in fin dei
conti determinato da elementi situativi» (p. 414).
Un solo cenno critico: Gentile, nel definire le caratteristiche delle vittime delle azioni
di violenza, distingue spesso fra partigiani «veri» e «presunti». Non sono riuscito a trovare
le ragioni di questa distinzione, di non poco conto. Probabilmente deriva dalle fonti
tedesche, di cui l’a. si è servito con grande maestria. In questo caso, però, non ci dà una
spiegazione plausibile sui motivi di una distinzione così netta, che gli studi sul fenomeno
resistenziale su scala europea rendono quantomeno discutibile

Gustavo Corni