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Carlo Spartaco Capogreco – I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943) – 2004

Carlo Spartaco Capogreco
Torino, Einaudi, pp. X-316, euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2004

Sono quasi vent’anni (il suo primo, importante, studio sul campo fascista di Ferramonti di Tarsia risale al 1987) che l’autore dedica tempo, energie ed intelligenza al tema di cui qui ci offre una corposa sintesi dopo svariate anteprime in forma saggistica. Basato su una ricerca condotta in numerosi archivi italiani e degli Stati successori della Jugoslavia, oltre che su carte conservate presso l’archivio ginevrino della Croce Rossa Internazionale e sui materiali provenienti dai NARA statunitensi depositati in copia a Lubiana, il volume ricostruisce la macchina concentrazionaria costruita dal regime monarchico-fascista dopo il suo consolidamento, e ne segue le evoluzioni, dall’internamento civile di competenza del Ministero dell’Interno, mirato in particolare agli oppositori politici e ai dissenzienti, all’inclusione degli ebrei, in particolare stranieri, con l’entrata in vigore delle norme antisemite del 1938, fino alla svolta costituita dall’entrata in guerra e poi dall’occupazione di estesi territori jugoslavi, che vede la creazione, da parte delle autorità militari, di un sistema parallelo di campi destinato ai civili deportati dalla sponda orientale dell’Adriatico. L’analisi entra poi nel merito delle condizioni di vita, in riferimento sia ai diversi soggetti vittime dell’internamento sia ai differenti campi. Il volume è nettamente diviso in due parti, di lunghezza quasi uguale; la prima (pp. 3-174), intitolata con troppa modestia semplicemente Introduzione, è in realtà un corposo saggio storiografico, analiticamente dettagliato, mentre la seconda (pp. 179-294) rappresenta un repertorio quanto mai prezioso, anche in vista di approfondimenti futuri, composto da schede di lunghezza variabile (fino a 2-3 pagine) riferite ad ogni singolo campo; esso è suddiviso, richiamandosi al saggio che lo precede, in campi del Ministero dell’Interno (ripartiti per regione di localizzazione) e campi ?per slavi?, distinti in questo caso fra collocati in territorio nazionale e situati in regioni occupate della Jugoslavia.
Come l’autore fa correttamente notare, il suo studio vuole collocarsi nel dibattito sulla memoria storica nazionale e sulle politiche che l’hanno improntata nelle diverse fasi della storia repubblicana, e contribuire a rendere più difficoltose le operazioni di rimozione e di banalizzazione del regime mussoliniano. Proprio in quest’ottica, però, mi pare che anche il volume di Capogreco, al di là dei suoi meriti, non si sottragga alla tentazione di un’ambigua comparazione tra i ?campi del duce? e il sistema concentrazionario messo in piedi in Germania dal suo allievo Adolf Hitler. Paragonare i due universi dal punto di vista della radicalità e dell’efficienza mortifera è infatti tanto deviante quanto scontato, e rischia di far rientrare dalla finestra quella banalizzazione che si era cercato di metter fuori dalla porta. Di ben altro significato sarebbe stato comparare i due sistemi dal punto di vista delle logiche di funzionamento dei presupposti giuridici, della funzione attribuita in entrambi gli Stati fascisti all’internamento. Ma ciò avrebbe richiesto un’ottica piuttosto diversa.

Brunello Mantelli