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Carmelo Pasimeni – Lotta al fascismo all’ombra di Stalin. La militanza di Vincenzo Antonio Gigante – 2009

Carmelo Pasimeni
Lecce, Argo, 200 pp., euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il saggio affronta un tema complesso col rigore di una documentazione inedita e segue la via di studiosi come Lussana – guardare al Pci attraverso la vicenda dei militanti – ma non è solo «biografia». Partito dalla vicenda di Gigante, Pasimeni giunge, infatti, allo scontro nell’antifascismo che lotta «all’ombra di Stalin». Egli fa così luce sul rapporto tra gruppo dirigente del Pci ormai stalinista, di cui Togliatti è figura paradigmatica, e i «quadri intermedi», alla «svolta» degli anni ’30. La vicenda è emblematica. Quando il gruppo dirigente decide di tornare in Italia e il giovane quadro si oppone, lo scontro tra Togliatti, che «vede» il paese con gli occhi di Mosca, e Gigante che parte «dalla conoscenza diretta della realtà» e dei compagni «rassegnati» a una «vita di miseria e di stenti» è scontro da due concezioni del Partito (p. 52).Altri hanno scritto di questo comunista ucciso dalle torture nella Risiera di San Sabba. Hanno ricordato le «grandi doti umane» e il «senso della solidarietà» (p. 10), tacendo sui rapporti col Partito e sul ruolo delicato di partigiano e dirigente che sul confine orientale «all’interno dell’antifascismo o, meglio, degli antifascismi in conflitto» (p. 14) prova a costruire una linea di autonomia, che il partito abbandonerà mentre i tedeschi lo uccidono. Pasimeni rompe il silenzio su questi temi e fa della biografia lo strumento «per leggere momenti importanti della storia del Pci e, più in generale, […] d’Italia» (pp. 10-11). L’umiliante «processo» al Gigante, accusato di «opportunismo» da Togliatti, consente all’a. di fermarsi sulle «pressioni ideologiche dello stalinismo sul partito e sui suoi militanti», sul dibattito che si apre sull’identificazione del movimento operaio con l’Urss, sul socialismo in un solo paese e sulla categoria del «socialfascismo» e sull’opportunismo. E non c’è dubbio: la decimazione del gruppo dirigente fu devastante.Pasimeni sa inserire la vicenda di Gigante nel dibattito sull’attualità della storia del Pci e ne coglie un paradosso: partito da una «linea politica imposta», che sacrifica la democrazia, il Pci è protagonista «del processo storico cha ha portato la democrazia nel nostro paese» (p. 18). Non si ferma, non può, su quanto il «paradosso» abbia pesato sui ritardi della sinistra, ma la ricostruzione dello scontro con Togliatti è esemplare. Gigante, che lavora tra la gente, ricorda al leader «le opposizioni dei compagni di base alle direttive del partito» (p. 75), Togliatti è astratto e ideologico: Gigante non ha «le qualità di un bolscevico» (p. 100-101). Tanto basta per emarginarlo e umiliarlo e Pasimeni ha ragione: «vittime dello stalinismo non furono soltanto quei numerosi comunisti emigrati a Mosca». Pagarono tanti altri, solo «per aver espresso divergenze sulla linea politica o sul gruppo dirigente» (p. 105).Il saggio si chiude sul militante che per tutta la vita prova a conciliare «i principi del socialismo e della democrazia». Il punto è che la prova non riesce e Togliatti apre la via che conduce al 1956. Pasimeni non lo dice, Arfè lo scrisse: all’«occasione perduta» per la quale i costi si sono poi pagati in moneta contante.

Giuseppe Aragno