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Casimira Grandi – Donne fuori posto. L’emigrazione femminile rurale dell’Italia postunitaria – 2007

Casimira Grandi
Roma, Carocci, 223 pp., Euro 18,50

Anno di pubblicazione: 2007

In un percorso di ricerca che da anni si è andato snodando attraverso gli interrogativi posti dalla storia dell’emigrazione dei rurali e in particolare da quelli dell’area trentina, questo libro affronta uno dei temi a ragione considerato fra i più opachi in materia di studi migratori, quello delle migranti contadine. Si tratta di un campo dove gli interrogativi posti dalla storia di genere si intersecano con quelli posti dalla storia dei ceti subalterni e in cui si sommano le difficoltà dell’uno e dell’altro settore disciplinare, nutrendosi di uno spesso silenzio delle fonti.Per gettare luce su tale aspetto meno appariscente della storia dell’emigrazione, Grandi innanzitutto affronta il problema appunto dell’assenza della donna nella documentazione delle migrazioni. Si tratta in primo luogo di invisibilità dovuta alla sua collocazione sociale, che ne fa una specie di appendice dei maschi di famiglia, e quindi moglie, madre, figlia di migranti, ma anche della consueta scarsa rilevanza sociale che a lungo accomuna uomini e donne nell’emigrazione temporanea. Concorre anche la collocazione lavorativa, ai confini sempre con la domesticità, sia che si tratti di lavoranti rurali, sia di donne occultate negli spazi meno visibili delle dimore nobiliari e borghesi. In tale disinteresse dei rilevatori della mobilità, l’unica forma osservata e descritta divenne la devianza. Di qui il grande impatto misuratore di prostitute, malate, ricoverate, defunte, sempre indicate come donne appunto «fuori posto», cioè fuori dal contesto ascritto soprattutto alle contadine. Il loro posto, come risulta dalle indagini condotte nei primi decenni dell’Italia unitaria, era infatti quello del lavoro che non valeva nulla perché esercitato in ambito domestico, del trasporto di materiali in assenza e in sostituzione delle bestie da soma, presentando il vantaggio della maggiore longevità, obbedienza e pluralità di impiego. I medesimi lavori domestici e rurali anche gravosissimi svolti nell’ambito familiare, se invece esercitati in modo salariato, divenivano fonte di preoccupazione e sintomo di pericolose derive sociali: braccianti e mondine, ma anche filatrici e tessitrici, collocate al di fuori del controllo della famiglia, assumevano un ruolo minaccioso oltre che per il proprio onore, per l’ordine e le gerarchie della società.Nel corso dei quattro capitoli attraverso cui si snoda il libro, che affrontano rispettivamente i problemi dell’invisibilità, il quadro dell’emigrazione femminile entro quello della grande migrazione e quindi gli scenari dell’esodo rurale femminile, fino ad approdare alla casistica che meglio è stata indagata dall’a., quella delle migranti feltrine, bellunesi e trentine, dalle ciòde alle balie, viene declinata la varietà del lavoro rurale femminile e quella dell’esodo contadino, sempre al femminile. In tale rassegna, paradossalmente, il caso più fortunato appare quello delle balie, fornitrici di un bene esclusivamente di genere, che le poteva sottrarre alle rigide gerarchie domestiche, renderle fonti di reddito aggiuntivo e infine portatrici di invisibili ma non meno importanti capitali sociali.

Patrizia Audenino