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Cesare La Mantia – Polonia – 2006

Cesare La Mantia
Milano, Unicopli, 343 pp., euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2006

Questo volume è uscito nella collana dedicata alla storia d’Europa nel XX secolo dalla casa editrice Unicopli di Milano e, come apprendiamo dalla quarta di copertina, è destinato a un «pubblico di esperti e non». Purtroppo l’autore non possiede i requisiti necessari a scrivere una sintesi di storia della Polonia nel ‘900: la conoscenza di una lingua slava e solidi studi sull’area est europea. Il testo è il risultato dell’assemblaggio di alcuni libri in lingua francese e inglese sulla Polonia, ormai superati su molte questioni dibattute dalla storiografia più recente. Alla mancanza di coesione La Mantia ha cercato di porre rimedio con un eccesso di dettagli, citando nome e cognome di personaggi di secondo piano e dilungandosi su episodi marginali come il funerale del maresciallo Pi¬sudski. I nomi sono storpiati al limite del ridicolo: Po¬ska (leggi Pouska) al posto di Polska, Sanaja invece di Sanacja, Koscia¬kowski-Zyndram anziché Zyndram-Koscia¬kowski; Klub Krzywego Ko¬a, tradotto come Club della ruota deformata e subito dopo come Circolo torto, il Partito contadino Liberazione si sdoppia in Wyzwolenie (liberazione) e Liberation (liberazione), e via di questo passo per trecento pagine. Nonostante l’intento dichiarato di voler dedicare ampio spazio alla cultura, La Mantia ha scritto una storia politica, nella quale la società non è mai attore: c’è una questione agraria ma non sappiamo niente dei contadini, c’è la questione ucraina ma non ci sono gli ucraini; nella parte dedicata al «totalitarismo», poi, la società è rappresentata solo dagli intellettuali e dalla Chiesa. Partendo da questo presupposto, La Mantia lamenta la perdita dell’indipendenza della Polonia, secondo una interpretazione obsoleta che impedisce di leggere l’800 come un secolo segnato non solo dalla cultura nobiliare ma anche dall’approfondirsi delle differenze regionali e dei vari nazionalismi. Allo stesso modo la nuova Polonia del 1918 non è una parentesi, o un «lungo armistizio» come è definito nel libro il periodo tra le due guerre mondiali, durante il quale «forze profonde» hanno minato l’operato dei fondatori dell’indipendenza, ma anche caos interno dovuto al fallimento di riconciliare versioni diversi dello Stato e della nazione. Infine, il comunismo non è un buco nero, nel quale i polacchi sono sprofondati a causa di un regime «alieno» che ha tentato di imbrigliarli ed è stato da essi «triturato » (p. 244). Questa visione dicotomica della storia risalta maggiormente nelle sezioni dedicate alla Chiesa cattolica, dipinta come la rappresentante dell’unità della nazione polacca. In realtà, durante il XIX secolo, sia il Vaticano sia l’episcopato polacco condannarono le insurrezioni contro lo zar e l’anticlericalismo popolare e intellettuale fu una corrente in crescita fino alla prima guerra mondiale. Tra le due guerre mondiali, continua l’autore, la Chiesa cattolica rimase «impermeabile alle lusinghe dell’ideologia nazionalista» (p. 114), un’affermazione non suffragata da fatti o documenti e contraddetta due pagine più avanti dalla notizia che, nel 1938, non ben definiti «partiti cattolici» chiesero l’applicazione delle leggi di Norimberga in Polonia (p. 116). La favola narrata da La Mantia di una «nazione» polacca sempre eguale a sé stessa impedisce di comprendere la complessità, la varietà e la vivacità di una «società» in continuo cambiamento.

Carla Tonini