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Chiese e popoli delle Venezie nella Grande Guerra

Francesco Bianchi, Giorgio Vecchio (a cura di)
Roma, Viella, 556 pp., € 48,00

Anno di pubblicazione: 2016

Oltre 500 pagine, 18 relazioni e 4 sezioni. I numeri non dicono tutto, ma offrono consistenza a due iniziative tenutesi a Trento e ad Asiago (nel 2016) e fuse in un volume dell’Istituto di Storia di Vicenza (ora trasformato in Fondazione) diretto da Giorgio Cracco. I saggi si muovono su due piani: il ruolo della Chiesa nel complicato scenario del conflitto e quello della gerarchia religiosa delle Venezie, una delle zone nelle quali il conflitto assunse i toni più aspri.
Benché su questi temi non manchi una ricca produzione storiografica, merito del volume è quello di suggerire nuovi percorsi e di aggiungere tasselli alla ricostruzione di quattro anni di guerra: dai tentativi del pontefice di porsi come mediatore di istanze di pace, al valore religioso della guerra, percepita come un’altra «guerra di religione» (p. 41), al ruolo dei cappellani militari nell’operare sul fronte quando «l’odio era così divenuto la parola d’ordine» (p. 163), alla rappresentazione della guerra da parte dei parroci friulani a fronte di «un mondo che si muove» (p. 375), al ruolo dei sacerdoti nel favorire e conservare le migliaia di lettere scritte dal fronte in un’opera di prezioso raccordo tra «il militare e il paese, raccomandando pazienza, amorpatrio, preghiera costante, rassegnazione e spirito di sacrificio» (p. 413), alle diverse forme di assistenza verso i più deboli e marginali, come quella svolta dalle due comunità dorate di Valdobbiadene, con «50 ammalati e 300 donne pazze da accudire» (p. 469).
Si potrebbe continuare. Dalle pagine emergono, infatti, in controluce altri nodi storiografici meritevoli di ulteriori approfondimenti. A cominciare dal ruolo della Santa Sede destinataria, tramite la Nunziatura di Monaco guidata da Eugenio Pacelli, di numerose proposte di pace sin dal 1916 quando Matthias Erzberger cercò di coinvolgere la Santa Sede in trattative di pace fra i due fronti. I risultati negativi dipesero, in parte, dal fatto che il pontefice non rappresentava uno Stato, ma soltanto un’altissima autorità morale che le forze dell’Intesa non erano disponibili a prendere in considerazione. Del resto era lo stesso Benedetto xv a rammentare, con rassegnata preoccupazione, di essere soltanto usufruttuario di pochi ettari di terreno e nulla più; non è implausibile pensare che anche questa esperienza abbia concorso a favorire la ricerca di una soluzione della questione romana.
Oppure, quale atteggiamento tenere nei confronti dei cappellani militari cattolici presenti negli eserciti nemici? E, per terminare – lo spazio è tiranno – alle diverse forme di devozione laica e religiosa che si esplicano, nel primo caso, in forme di offerte alla patria, in Italia e nelle colonie italiane, e, nel secondo, nel fiume di denaro per messe inviato allo stesso pontefice da parte di molte comunità cattoliche tedesche e austriache, pur ben sapendo che molte di queste disponibilità sarebbero state utilizzate in paesi «nemici».
Annotazioni essenziali, dunque, per un volume che ha il pregio non solo di raccontare ma anche di stimolare nuove ricerche.

Maurizio Pegrari