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Christopher M. Sterba – Good Americans. Italian and Jewish immigrants during the First World War – 2003

Christopher M. Sterba
Oxford, Oxford University Press, pp. 271, $ 65,00

Anno di pubblicazione: 2003

Sterba esamina due delle unità militari che gli Stati Uniti d’America allestirono e inviarono sul fronte franco-tedesco nel 1917. La sua scelta è caduta su una compagnia composta da alcune decine di immigrati italiani di New Haven e su una divisione costituita a New York City e comprendente circa un quarto di ebrei, per tre quarti dell’Europa orientale.
Le due comunità di immigrati erano appena divenute le più ampie di ciascuna città (tanto l’una che l’altra costituivano circa il 3 per cento degli abitanti verso la fine dell’800 e più del 20 intorno al 1920), entrambe prima della guerra avevano un peso politico assai basso, entrambe conoscevano sovente solo l’italiano o l’yiddish. Gli ebrei erano oggetto di avversioni, enormemente minori di quelle lasciate in Europa.
La mobilitazione militare del 1917 gettò entrambi i gruppi nella vita pubblica cittadina e anche nazionale, fossero o no sostenitori dell’ingresso in guerra e degli Stati alleati degli USA. La campagna di arruolamento costituì un momento importante della loro ?americanizzazione? sia quando a New Haven scattò una risposta positiva orgogliosa, sia quando a New York si diffuse inizialmente una reazione pacifista-socialista, al dunque minoritaria.
Più in generale: rifiutare l’arruolamento significava riaffermare i legami con la provenienza, accettarlo, quelli col nuovo paese. Grande significato ebbe per tutti loro il nuovo passaggio dell’oceano, il rientro temporaneo con ruolo, dignità e scopo (reagire a Caporetto, lottare contro l’invasione tedesca delle terre finalmente ex zariste), il sentirsi chiamare americani dai francesi. Gli ebrei arrivarono a posizioni di comando su non ebrei, per via delle dimensioni numeriche e del grado di istruzione; gli italiani no. In quella divisione l’antisemitismo fu quasi del tutto assente (in altre, con meno ebrei, si verificò). Gli afroamericani rimasero sempre segregati e sottomessi. Il numero dei caduti fu altissimo, proporzionalmente simile a quello degli eserciti europei (ma venne raggiunto in pochi mesi di combattimento).
Al rientro, i soldati portarono nelle loro comunità di New Haven e New York orgoglio e un nuovo senso di appartenenza nazionale (di provenienza), ora reso visibile nelle parate cittadine. Proprio i veterani ebrei guidarono in uniforme due immense dimostrazioni contro i pogrom delle terre avite. I reduci e l’intero pur breve processo bellico contribuirono fortemente all’americanizzazione delle rispettive comunità, che nei decenni seguenti (io qui direi con più forza: non solo per merito degli ex combattenti) conobbero una crescita dello status sociale e una maggior diversificazione residenziale. A New Haven crebbero anche le manifestazioni pubbliche di esaltazione della provenienza italiana; ma proprio il modo in cui ora esse erano espresse costituiva in realtà una manifestazione americana e non più italiana.
La ricostruzione dell’autore è basata su un’ampia consultazione di archivi (militari), stampa locale (italiana, ebraica, e anche nazionale), memorialistica, saggistica. Lo stile è poco parolaio, dissonante cioè dal malvezzo nostrale. Il volume è decisamente interessante.

Michele Sarfatti