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Circolo Gianni Bosio (a cura di) – Il Borgo e la borgata. I ragazzi di don Bosco e l’altra Roma del dopoguerra – 2002

Circolo Gianni Bosio (a cura di)
Introduzione e coordinamento di Alessandro Portelli, Presentazione di Francesco

Anno di pubblicazione: 2002

Attraverso testimonianze di protagonisti, il volume narra la vicenda dell’assistenza recata dai Salesiani a sciuscià e ragazzi marginali nella Roma del dopoguerra, che portò alla fondazione nel 1948 del Borgo ragazzi don Bosco al Prenestino e la vita nell’istituto professionale fino agli anni dello sviluppo economico e alle soglie dei nostri giorni.
E’ un volume avvincente, ricco di fascino e d’interesse. Frutto d’insolita sinergia tra il Circolo Gianni Bosio (seconda opera firmata collettivamente, dopo I giorni cantati. Cultura operaia e contadina a Roma e nel Lazio, Milano, Mazzotta, 1978) e l’Istituto storico salesiano, mostra a pieno maturità narrativo-ricostruttiva, particolare efficacia comunicativa del metodo del montaggio tematico di brani d’interviste e ricchezza di situazioni umane che questo tipo d’indagine propone all’attenzione della storiografia.
La definizione ?autoritratto fatto di parole? (Portelli, p. VII), cioè autorappresentazione del gruppo sociale e dell’istituzione, dice certo di meno di quello che il volume offre: ricchi, infatti, sono gli spunti descrittivi e problematici sulla realtà metropolitana in trasformazione di Roma e sulla quotidianità della generazione dei ?ragazzi di guerra?. Tuttavia, la ricostruzione della soggettività del gruppo, dell’istituzione e delle persone permette di cogliere solo in parte cosa da quell’?insolito e particolare punto di vista? (p. X) si riuscisse a percepire sia di ?Roma nei decenni del dopoguerra? sia della storia della pedagogia salesiana. La scelta di ricostruire anche il contesto attraverso interviste, con limitato ricorso ad altre fonti o a bibliografia, si rivela insufficiente a far cogliere a pieno il rilievo che ebbero al tempo eventi ai quali i testimoni si riferiscono (esempio banale: numerose visite illustri, dalla regina Elisabetta al presidente Gronchi ecc.). Così, la lettura di libri di preghiera dell’epoca e il confronto con gli apocalittici toni dello stile e del linguaggio ottocentesco di don Bosco, avrebbe permesso d’interpretare meglio ciò che si dice sul senso del ?pio esercizio della buona morte? e di altre pratiche religiose. Oppure, il riscontro di coraggiose e imbarazzate testimonianze sulla sessualità con i terribili sessuofobici libri di don Antonio Coiazzi, allora diffusi tra i salesiani, avrebbe permesso di comprenderle nel confronto con il modello di riferimento. Allo stesso modo, gli specifici scritti storici di Stefano Pivato avrebbero suggerito interpretazioni più adeguate e integrato testimonianze su teatro, cinema e filmine talora un po’ frammentarie. Infine, maggiore cura filologica avrebbe chiarito che «il Vittoriano» citato da un intervistato (p. 76) non aveva a che fare con D’Annunzio, ma era forse ?il Vittorioso?, noto periodico dell’Azione cattolica; oppure che il film citato come Santa Maria Goretti (p. 103) era probabilmente Cielo sulla palude, capolavoro (almeno la prima parte) di Augusto Genina; oppure che il comandamento che riguarda la ?purezza? (all’epoca “non commettere atti impuri”, poi “non fornicare”) è il sesto e non il settimo (p. 75).

Antonio Parisella