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Claudia Dall’Osso – Voglia d’America. Il mito americano in Italia tra Otto e Novecento – 2007

Claudia Dall’Osso
Roma, Donzelli, V-137 pp., Euro 19,90

Anno di pubblicazione: 2007

La costruzione del «mito americano» in Italia è tratteggiata in agilissimi capitoli rivolti a ognuno dei suoi ingredienti originari: la speranza – o l’illusione – della «terra promessa» alimentata dalla traversata atlantica, vero e proprio rito di passaggio dal Vecchio al Nuovo mondo; la presunta virtuosità democratica dell’acceso individualismo americano, alla base di infinite opportunità di «fare fortuna»; l’immagine del progresso illimitato, simboleggiato dal «moto perpetuo» della società americana, dalle continue innovazioni tecnologiche, dalle città in perenne trasformazione. Codici di un’attraente modernità incarnata da due figure simbolo: la «donna nuova» e il miliardario, le cui vite diventano, per i lettori delle riviste italiane d’inizio ‘900, una sorta di «romanzo d’appendice» a puntate (p. 119).L’indagine muove infatti dalla tesi, sostanzialmente dimostrata, che in Italia il nucleo dell’«americanismo», di un modello sociale e culturale di straordinario successo, non sia nato negli anni ’20 come comunemente si pensa, bensì tra ‘800 e ‘900, per rimanere praticamente inalterato lungo tutto il XX secolo (p. 6). La ricerca si avvale di alcuni titoli della letteratura di viaggio dell’epoca, usciti dalla penna di emigranti «del piacere», e della stampa periodica italiana, in particolare della rivista popolare illustrata «La Domenica del Corriere», che nel 1900 inaugura la rubrica Americanate. Le fonti rivelano l’altro assunto dell’analisi: il mito americano si alimenta delle rimesse degli emigranti «del bisogno», ma le idee e gli stereotipi che lo sostanziano raccontano del complesso tentativo delle classi colte italiane di elaborare, per se stesse e il nuovo pubblico di lettori, l’incipiente modernizzazione della penisola attraverso il confronto con la realtà americana. Il ritratto italiano dell’America nel primo ‘900 è quindi il prodotto di molteplici negoziazioni e mediazioni, tra mito e realtà – soprattutto riguardo alle condizioni degli emigrati – e tra fascino e repulsa, tra desiderio di emulazione e rivendicato primato civile dell’Italia, ricondotto a un più equilibrato rapporto tra innovazione e tradizione. Il compromesso prende forma in uno dei più fortunati stereotipi italiani sull’America, raffigurato come paese «eccentrico», «stravagante», la cui eccezionalità seduce e conquista ma al tempo stesso permette di salvaguardare una presunta alterità culturale. I tanti aneddoti sulla società statunitense intorno ai quali si organizza l’immagine italiana dell’America a tratti seducono anche l’a., che nell’analisi si affida molto alla loro intrinseca pregnanza, col rischio, accresciuto dal ricorso a una bibliografia davvero essenziale, di negarle la giusta complessità e profondità. Un rischio comunque scongiurato da un’impostazione di fondo del tutto condivisibile, che legge la «colonizzazione culturale» dell’Italia (p. 4), l’«americanizzazione» del costume non come «imposizione», ma come un processo di adattamento e traduzione che implica rapporti di reciprocità e dà vita a una «declinazione italiana» del modello americano (p. 21).

Catia Papa