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Claudio Siniscalchi – Riflessi del ’900. Cinema, avanguardie, totalitarismo (1895-1945), – 2008

Claudio Siniscalchi
Soveria Mannelli, Rubettino, 137 pp., euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2008

La ricostruzione di Siniscalchi riprende il tema intrigante di quanto le avanguardie dell’inizio del ’900, e il cinema in particolare, ultima tra le forme di comunicazione e d’arte venute ad illuminare la transizione alla modernità, abbiano influito sulla politica del secolo delle masse. La questione è di grande interesse perché si situa nel punto di intersezione di diverse discipline, a cominciare dalla storia per finire alla comunicazione delle forme artistiche, e contribuisce a spiegare alcuni dei fenomeni più suggestivi e inquietanti del rapporto tra cultura e potere. L’a. prende come filo conduttore proprio il cinema, destinatario di grandi attese e tensioni, chiamato a ridisegnare il rapporto tra l’individuo e la realtà che lo circonda. Le avanguardie storiche lo consideravano il naturale collettore di una sorta di forma d’arte totale che avrebbe dovuto fare giustizia sommaria della tradizione culturale di ogni paese. Cinema come arte nuova, in grado di parlare alle masse e capace di veicolare le forme della modernizzazione e, per alcuni, della rivoluzione. La sensibilità che gli artisti avevano, faceva loro cogliere le straordinarie potenzialità di quella che più di un politico, da Lenin a Mussolini, avrebbe poi definito «l’arma più forte». E qui sta il paradosso di un processo che nacque con intenti innovativi e di rottura, in paesi che avevano subito, più degli altri, gli sconvolgimenti materiali e «culturali» della Grande guerra (la Germania, l’Urss ma anche la stessa Italia), e si tramutò in brevissimo tempo nel più gigantesco strumento di condizionamento nelle mani di un potere dittatoriale. Siniscalchi cita i percorsi esemplari di Sergej Ejzenstejn in Urss e di Leni Riefenstahl nella Germania nazista e, per l’Italia, il caso tragico e patetico di Marinetti e di molti futuristi (poveri di realizzazioni concrete ma prodighi di suggestioni teoriche e politiche). Il cinema, tra le sue immense potenzialità divulgative e pedagogiche, si trasforma, nelle mani di un potere senza scrupoli e abile nel coinvolgere registi e autori di talento, nello strumento ideale della propaganda del presente (attraverso cinegiornali e cinema di finzione) e del passato (attraverso la creazione dell’epica nazionalista dei film storici). La capacità del cinema e la sua potenza comunicativa sono tali che spesso il potere riesce ad ottenere i suoi scopi senza aver bisogno dei caposcuola, ma avvalendosi della semplice e scrupolosa applicazione di coscienziosi esecutori. Il cinema, quindi, come «arma più forte» all’interno di una perfetta macchina del consenso.Anche se Siniscalchi non lo dice, le potenzialità del cinema si ritorceranno contro il potere che lo aveva largamente usato, quando, con la fine della guerra, proprio dal cinema e proprio in Italia nascerà quel fenomeno, definito «neorealismo», che più di ogni altro toglierà la maschera ai simulacri della tirannia e tornerà a parlare alle masse. Forse non è azzardato definire il cinema «neorealista» la vera «arte totale» del ventesimo secolo.

Pasquale Iaccio