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Clifford D. Conner – Storia popolare della scienza. Minatori, levatrici e «gente meccanica», – 2008

Clifford D. Conner
Milano, Marco Tropea Editore, 527 pp., euro 24,90 (ed. or. New York, 2005)

Anno di pubblicazione: 2008

Quella che Clifford D. Conner propone in questo volume è una radicale inversione di prospettiva nella storia della scienza. Sulle orme della celebre A people’s history of the United States di Howard Zinn, Conner pone al centro di questa storia del progresso scientifico gli oscuri contributi di «contadini e agrimensori, marinai, minatori e fabbri, guaritori e levatrici, fonditori, vetrai, vasai, tessitori e tingitori, smaltatori e incisori». Quelle «masse anonime di umili individui» che hanno dato, con la loro abilità, inventiva ed esperienza un contributo molto più rilevante alla produzione e diffusione della conoscenza scientifica di quanto venga di solito riconosciuto o ammesso. L’a. propone, dunque, di intendere il progresso scientifico soprattutto come un processo collettivo, animato principalmente da artigiani e genti dei mestieri.Nelle oltre 500 pagine scritte in uno stile enciclopedico, è il concetto di «rivoluzione scientifica» ad essere sottoposto a revisione. Il modello tradizionale, secondo il quale lunghi «periodi di confusione e ignoranza» sarebbero intervallati dalla comparsa di un genio – Galileo, Newton, Darwin, Einstein – brillante e solitario, secondo l’a. non è più proponibile e ancor meno credibile.L’inversione dello sguardo, puntato programmaticamente verso il «basso», si rivela efficace soprattutto nei capitoli iniziali. Iprotagonisti sono i primi agricoltori che addomesticarono animali e piante, consegnandoci le coltivazioni di mais, frumento e riso o i semplici balenieri fondamentali per la moderna cartografia o i fabbri e gli «umili» minatori essenziali per la metallurgia, la chimica e le scienze dei materiali in genere. Allo stesso modo «gli irregolari» delle scienze mediche – barbieri-chirurghi, farmacisti-droghieri, levatrici, guaritori illetterati ma edotti delle proprietà curative delle piante – avrebbero contribuito in maniera fondamentale al benessere dei malati anche quando, a partire dal XVIIIsecolo, la medicina ufficiale reclamava per i suoi procedimenti il monopolio della scientificità.L’ultima parte del volume appare la più fragile. Per ammissione dello stesso Clifford D. Conner, il modello interpretativo entra decisamente in crisi con l’avvento del XX secolo. La cosiddetta big science prevede la necessità di ingentissimi capitali, spesso governativi, per l’impresa scientifica; ormai è quasi impossibile per un outsider prendervi parte sebbene la rivoluzione informatica, per la quale gli oscuri programmatori sono stati fondamentali, abbia complicato ulteriormente il quadro.In conclusione, il modello «collettivo» proposto da Conner, capace di riequilibrare una storia della scienza scritta esclusivamente attraverso i «grandi uomini», risulta certamente ricco di interesse e suggestioni ma sottovaluta i suggerimenti che spesso i percorsi e le personalità individuali forniscono. Risulta, inoltre, simmetricamente rigido e talvolta inefficace ad affrontare le complessità che un arco cronologico così ampio pone.

Alessandra Gissi