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Con Pettini al Quirinale. Diari 1978-1985

Antonio Maccanico
a cura di Paolo Soddu, introduzione di Eugenio Scalfari, Bologna, il Mulino, 600 pp., € 36,00

Anno di pubblicazione: 2014

Ci si chiede spesso su quali fonti lavorerà lo storico della politica che si occuperà di questi nostri anni. Gli archivi dei partiti? Non ci sono più. Gli scambi epistolari? Ancor meno. I diari? C’è da dubitarne. Eppure per lo studio della politica degli anni ’70 e ’80, se già gli epistolari si fanno rari (téléphone oblige), se gli archivi dei partiti cominciano a non coprire proprio tutto, i diari svolgono ancora un ruolo importante. Certo occorre, come riguardo a ogni fonte, chiedersi quanto i diari non siano stati manipolati, dal personaggio o da chi per esso, all’atto della pubblicazione; quanto insomma riflettano il pensiero reale dell’autore al momento della vergatura del ricordo e non in quello successivo. Detto tutto questo, la loro utilità è altissima.
Come nel caso di questi diari di Maccanico, che sono senz’altro una delle fonti più importanti non solo per capire la presidenza Pertini ma per studiare la politica italiana tout court a cavallo tra anni ’70 e ’80. Maccanico non era infatti solo il segretario generale alla Presidenza della Repubblica. Era un grand commis con una solida cultura politica e una visione dell’Italia e del mondo non collimante con quella di Pertini. Era una figura che incrociava diversi mondi, oltre a quello della politica, la finanza laica, l’industria, la cultura. Per questo le sue annotazioni, i suoi commenti, anche i racconti degli eventi, vanno visti nella chiave di un Maccanico che svolse, da segretario, un ruolo politico di primo piano. Non si vuol dire naturalmente che Pertini si facesse guidare da lui, ma sul presidente la sua influenza fu certa, e del resto fu scelto proprio da Pertini, che sapeva bene chi fosse Maccanico. Soprattutto egli aveva in gran sospetto politico Craxi: per que¬sto i diari sviano un po’ nell’esagerare le distanze tra il presidente socialista e il segretario del Psi, distanze che furono nei dettagli e non nello scenario di insieme, su cui le due figure concordavano.
Decine sarebbero i passaggi da citare e da commentare, avendone spazio. Non pos-sedendone, vogliamo solo osservare come queste pagine dimostrino che Pertini fu, nei confronti dei governi (soprattutto quelli precedenti a Craxi) e in politica estera, l’antesi¬gnano della presidenza interventista e decisionista, meglio definitasi negli anni successivi e in quelli più vicini a noi. E Maccanico, pur frenando le spinte presidenziali meno or¬todosse nei confronti del rispetto del dettato costituzionale (di cui, è noto, Pertini non fu proprio ligio interprete), stimolò il capo dello Stato in questo ruolo di decisore, forse pensando di poterlo a sua volta dirigere. Poi però l’augusto vegliardo faceva quasi sempre di testa sua, rompendo le uova nel paniere del grand commis, che doveva correre ai ripari per ricomporre i cocci.

Marco Gervasoni