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Controllare e distruggere. Fascismo, nazismo e regimi autoritari in Eu- ropa (1918-1945)

Johann Chapoutot
Torino, Einaudi, 229 pp., € 22,00 (ed. or. Paris, 2013, traduzione di Frédéric Ieva)

Anno di pubblicazione: 2015

Chapoutot, segnalatosi come studioso dell’universo mentale e intellettuale del na- zismo, si propone non solo di offrire una sintesi dell’esperienza storica dei regimi di tipo fascista o comunque autoritari sorti nell’Europa centro-occidentale tra le due guerre, ma anche di inserire questi fenomeni di sovversione antidemocratica nel più ampio arco cronologico otto-novecentesco. All’a. preme infatti sia dare risalto alla presenza nel XIX secolo di motivi ideologici e culturali da cui poi il fascismo trasse una parte della sua linfa vitale; sia mostrare come dietro la facciata esterna di un cammino ascensionale della democrazia, attraverso il 1945 e il 1989, il XX secolo sia stato teatro, sulla scia della prima guerra mondiale, di una sfida potenzialmente micidiale ai principi democratici, sicché non è possibile considerare i regimi che la promossero come una mera deviazione del corso della storia.
Un’opera dedicata all’«età delle dittature» si apre così con una parte dedicata agli sviluppi sociali e intellettuali dell’800 e agli aspetti della Grande guerra che per l’a. più fe- cero di quella traumatica esperienza l’incubatrice delle tentazioni fasciste e autoritarie. In quest’ultimo passaggio l’impianto del libro ha un suo punto debole. Chapoutot da un lato dipinge un quadro sbrigativo dell’Europa postbellica: presenta la crisi degli ordinamenti liberali e il rovesciamento dei principi di democrazia come la risultante più immediata- mente corrispondente al contenuto dell’esperienza bellica, trascurando altre modalità di adattamento, in senso pluralistico, della prassi di governo ai processi avviati dalla guerra e attenuando l’impatto della crisi del 1929 sul corso storico sfavorevole alla democrazia (né spiega in che modo il nesso guerra dittatura riguarderebbe la Spagna rimasta estranea alla guerra o il Portogallo che vi fu coinvolto in maniera relativamente limitata). Dall’altro lato, trattando delle trasformazioni per le quali la guerra fu effettivamente il principio di una nuova epoca, considera solo quelle attinenti alla cultura e alla mentalità, disdegnando ogni altro piano di analisi. Peraltro la sua predilezione per il lato cultural fa dell’ultima parte del libro, dedicata all’esperienza fascista vista sotto quel profilo, la parte migliore.
Il valore di un’opera di sintesi dipende in gran parte dalla sua utilità a scopi forma- tivi e didattici: utilità in questo caso viziata da un’esposizione degli avvenimenti talvolta confusa e da vari errori, di cui, per motivi di spazio, si può dare solo qualche esempio: ancora vivo Marx si ebbe una fioritura di partiti comunisti nazionali; a uscire dal governo della neonata Repubblica tedesca furono, a Natale del 1918, gli spartachisti; in Italia Nitti reintrodusse la proporzionale, poi a Giolitti successe Facta; il quadro del Psi era costituito da «notabili municipali tentati da un radicalismo alla buona» (p. 67); «ras» sarebbe un termine di origine araba. Altre bizzarrie sono imputabili a sviste dell’edizione italiana.

Leonardo Rapone