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Cristina M. Bettin – Italian Jews from Emancipation to the Racial Laws – 2010

Cristina M. Bettin
New York, Palgrave Macmillan, 215 pp., $ 80,00

Anno di pubblicazione: 2010

Negli studi sulla storia degli ebrei italiani, il periodo compreso fra l’emancipazione e l’avvento del fascismo resta fra i meno indagati. Su scala internazionale la bibliografia disponibile sull’argomento si riduce fin quasi a scomparire, a causa della scarsità di traduzioni. Il volume di Cristina Bettin avrebbe potuto colmare un vuoto importante, ma si tratta purtroppo di un’occasione mancata.Nell’introduzione, l’a. afferma di avere condotto un vasto lavoro di ricerca bibliografica e archivistica, ed espone le sue tesi: la storia degli ebrei italiani è stata una storia di integrazione (non di assimilazione); non è analizzabile separatamente da quella dei «gentili»; dopo l’emancipazione è iniziato un percorso di rinascita dell’ebraismo italiano, ideato e sostenuto principalmente da una serie di iniziative giovanili. Il volume si articola in un primo capitolo sul background degli ebrei italiani (pp. 9-45), un secondo che affronta il problema «assimilation or integration» (pp. 47-77) e tre capitoli dedicati rispettivamente al tema dei giovani (pp. 79-96), dei movimenti giovanili (pp. 97-137), del rapporto dei giovani con l’identità ebraica (pp. 139-152).La formulazione delle tesi, l’argomentazione e le conclusioni risentono innanzi tutto di una scarsa conoscenza della bibliografia. Salvo rare eccezioni, Bettin ignora gli studi e le riflessioni metodologiche proposte dalla storiografia dai primi anni ’90 ad oggi su emancipazione, integrazione, storia istituzionale, sociale, culturale della minoranza ebraica italiana. Anche quando cita volumi o articoli recenti, non ne coglie gli spunti interpretativi. Nonostante il richiamo alla necessità di integrare la storia della minoranza nella storia d’Italia, quest’ultima è presente solo come cornice cronologica, con un’impostazione manualistica. È assente anche la storiografia internazionale. Il punto di riferimento di Bettin è Renzo De Felice, delle cui tesi ripropone una versione semplificata dichiarando che il caso italiano fu «unique among nations» (p. 54), che l’antisemitismo era del tutto estraneo alla cultura italiana (p. 56), che la cultura positivista e scientista dominante nel corso dell’800 favorì l’integrazione degli ebrei perché rese «incomprensibili» i concetti di religione e di razza (p. 53). Se la terza affermazione denota una totale incomprensione della cultura ottocentesca e degli studi sulle origini del razzismo, le prime due riportano la storiografia indietro di almeno trent’anni.L’impostazione generale del volume è inficiata, inoltre, da una scarsa consapevolezza metodologica, che si manifesta nella tendenza ad accogliere in maniera acritica la narrazione proposta dalle fonti. Sconcerta, in particolare, il riferimento frequente ad interviste fatte dalla stessa a. — secondo criteri di selezione ignoti — a non meglio identificati «nati ai primi del Novecento», le cui dichiarazioni sono considerate fonti per l’autocoscienza dei loro padri o dei loro nonni senza il minimo sforzo di problematizzazione.La pubblicazione in una collana d’indiscussa serietà non offre, a quanto pare, nessuna garanzia.

Carlotta Ferrara degli Uberti