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Daniele Caviglia, Alessandro Gionfrida – Un’occasione da perdere. Le forze armate italiane e la Comunità europea di difesa (1950-1954) – 2009

Daniele Caviglia, Alessandro Gionfrida
Roma, Apes, 211 pp., Euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il libro – sulla base di una documentazione primaria tratta dagli archivi del Ministero degli Esteri e dello Stato maggiore dell’esercito – ripercorre le tappe di una vicenda già largamente investigata, ma da un punto di vista relativamente nuovo, quello del rapporto tra ambienti militari e politica. Ne emerge il ritratto di una relazione difficile, in cui alle ritrosie dei vertici militari si contrapposero superiori ragioni politiche. I militari italiani, tranne rare eccezioni, accolsero con diffidenza la proposta del governo francese, giudicata «prematura» e potenzialmente generatrice di fratture nel rapporto transatlantico, nonché di inefficienze da un punto di vista tecnico. Se all’avvio dei negoziati i dubbi dei militari trovarono una certa sintonia con lo scetticismo dei rappresentanti politici, dopo la presa di posizione favorevole alla costituzione della Ced da parte degli Stati Uniti, si allargò lo scarto tra le due posizioni: alla svolta federalista del governo De Gasperi corrispose da parte dei militari la richiesta di ridurre a una presenza simbolica l’impegno dell’Italia. Fino alla conclusione della vicenda, gli Stati maggiori moltiplicarono le obiezioni, rilevando la debolezza intrinseca di un esercito europeo cui sarebbe venuto a mancare «l’ideale patriottico e nazionale», inficiandone il «fervore combattivo» (p. 62). Da un punto di vista più concreto, i militari rilevavano come l’asse del nuovo esercito avrebbe ruotato sul Reno, sacrificando le esigenze italiane. Perciò, una delle richieste più pressanti fu il mantenimento di una sostanziale aliquota delle forze armate sotto controllo nazionale. Le istanze dei militari trovarono scarsa attenzione da parte dei rappresentanti politici. Solo su un punto si registrò fin dall’inizio una totale convergenza, in chiara ottica anticomunista: nel respingere qualsiasi misura che rischiasse di minare il controllo da parte degli organi nazionali sulle forze incaricate di garantire l’ordine pubblico. Dopo la firma del trattato, apparendo ineluttabile la costituzione dell’esercito europeo, gli sforzi dei militari si indirizzarono a un tentativo di «riduzione del danno», tramite una oculata applicazione dei termini del trattato.Il libro ha il merito di gettare luce sull’azione di un soggetto fondamentale nella vicenda della Ced, mettendo in evidenza un aspetto trascurato nella nostra storiografia. La coerenza del testo avrebbe tratto giovamento da un maggior coordinamento tra i due aa., le cui parti si sovrappongono parzialmente. Inoltre, sarebbe stato interessante adottare una prospettiva transnazionale, facendo ad esempio riferimento agli studi esistenti sulle posizioni dei militari francesi. Soprattutto si avverte la mancanza di una presa di posizione interpretativa in merito alle ragioni delle posizioni dei militari. Una chiave di lettura possibile avrebbe potuto essere rintracciata nel testo di una lettera di Quaroni a Sforza: «Non mi nascondo poi che ci sarà da noi una forte opposizione dei militari: questa opposizione sarà in buona parte dovuta a una ragione perfettamente umana: conservare i comandi che si hanno o che si sperano di avere» (p. 25).

Francesco Petrini