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Daniele Marchesini – Carnera – 2006

Daniele Marchesini
Bologna, il Mulino, 312 pp., euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2006

In Italia il panorama della ricerca storica sullo sport appare piuttosto deludente. In libreria abbondano i titoli sul tema, i quali tuttavia non si discostano ? nei casi migliori ? da un buon giornalismo di genere, attratto più da suggestioni letterarie che da intenti di approfondimento. Nel mondo accademico, la ricerca sullo sport sembra confinata negli spazi, già angusti, che le sono concessi nelle facoltà di Scienze motorie, confermando la marginalità a cui sembrano destinati gli studi attorno un fenomeno pure così fortemente caratterizzante della cultura di massa, come sottolineato da più parti (Mosse, Hobsbawm, Barthes). Le ricerche condotte da Marchesini rappresentano una delle eccezioni più significative. Dopo Coppi e Bartali (1998) e Cuori e motori. Storia della Mille Miglia (2001), arriva Carnera, in coincidenza non casuale con il centenario della nascita del boxeur friulano. Non si tratta di una biografia. Lo studio è indirizzato invece al suo tempo, alla cultura e alla mentalità che hanno costituito il terreno per la nascita, sulla base di risultati sportivi tutto sommato effimeri, di un mito straordinariamente popolare, e capace di resistere a lungo, e di un modello virile che fanno da sfondo all’ascesa del fascismo, e che dal fascismo saranno alimentati anche attraverso ciò che è stato definito «atletismo politico». Scrive Marchesini: «lo sport può essere considerato una delle versioni più rappresentative del tentativo di creare una cultura fascista, intesa come modo di essere o come insieme di valori e idee condivisi che si fanno senso comune [?]. In questo senso, con il fascismo siamo già, negli anni Trenta, all’estensione dello sport fuori dello sport» (p. 98). Se Mussolini si presenta come il primo sportivo d’Italia, Carnera è per il fascismo l’italiano nuovo, l’immagine di eccellenza di una «razza» che si rinforza e si prepara alla guerra attraverso l’esercizio fisico. Operazione di propaganda, questa, che Marchesini esplora anche attraverso il buon apparato iconografico del libro, ma di cui forse non evidenzia abbastanza le contraddizioni. L’affermazione del singolo, infatti, non rientrava in modo immediato nell’ideologia fascista sullo sport, mirante invece, secondo la parole di uno dei suoi principali teorici, Lando Ferretti, a «riflettere, penetrare ed elevare le masse», in quanto «la massa è il suo obiettivo, non l’individuo» (S. Martin, Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Milano, Mondadori, 2006, p. 29). Utile con i suoi successi a esaltare la nazione, il campionismo incarnato dal pugile friulano ? per di più ex emigrante, e già sul punto di naturalizzarsi francese ? è allo stesso tempo scomodo per il regime, che infatti se ne disfa presto. Quando il 25 giugno 1935, alla vigilia della guerra d’Etiopia, Carnera viene messo al tappeto dal nero Joe Louis, è Mussolini in persona a firmare la velina ai giornali («Non pubblicare fotografie di Carnera a terra»), facendo scattare l’inevitabile damnatio memoriae. Il mito del boxeur sopravvivrà tuttavia al fascismo, in Italia e all’estero. Come spiega Marchesini infatti: «l’eroe sportivo incarna […] un altro tratto tipico della civiltà di massa: la mobilità sociale, il suo desiderio, la sua eventualità » (p. 181).

Elvis Lucchese