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Daria Frezza – Il leader, la folla, la democrazia nel discorso pubblico americano 1880-1941 – 2001

Daria Frezza
Roma, Carocci, pp. 336, euro 21,69

Anno di pubblicazione: 2001

Frezza ricostruisce il complesso dibattito che riguardò le scienze sociali americane nel periodo cruciale che va dall’esplosione della Gilded Age al 1941. In un contesto caratterizzato da processi di industrializzazione che stavano modificando i paesaggi urbani e gli assetti socio-economici, da un’immigrazione di masse provenienti da paesi ?arretrati? politicamente ed economicamente, da fenomeni di urbanizzazione e concentrazione economica che mettevano in crisi il panorama di isolated communities ottocentesco, gli scienziati sociali tentarono di offrire codici per decifrare una realtà ben lontana da quella rassicurante presentata da Tocqueville, di rispondere a interrogativi che riguardavano il cuore della democrazia americana: il significato più profondo di concetti quali individuo, comunità, popolo, democrazia. Il quadro fornito da Frezza è variegato e complesso a dimostrazione della difficoltà, da parte della scienza come pure della politica, di trovare valori condivisi e inclusivi. Il punto in comune, tuttavia, riguardava la possibilità di individuare categorie fondanti una democrazia evitando di cadere nelle trappole di una società di massa che stava modificando i processi di legittimazione democratica. A fronte dei rischi di una tirannia delle folle, di un individuo amorfo e succubo occorreva ripristinare i valori della comunità, opporre all’individuo atomo-sociale un individuo relazionale, soggetto che agiva all’interno di gruppi retti da norme razionali, emarginare il mob, selvaggio e primitivo, a favore di un democratic public composto di individui razionali, in grado di controllare i conflitti e non suscettibile di essere manipolato da parte di leader carismatici e autoritari. Scienziati sociali e intellettuali pubblici puntarono alla costruzione artificiale di una società democratica con intenti a volte anche contraddittori: dalla visione elitaria e critica di Lippmann alla democrazia partecipativa di Dewey; dai teorici della crisi della democrazia, all’emergere del common man come soggetto principe del processo di legittimazione democratica negli anni trenta; dall’enfasi sull’esperto come taumaturgo, alla costruzione del leader democratico dell’era rooseveltiana, da intendersi, a differenza di quanto teorizzava la cultura europea, come ?leader organizational e non class conscious, la cui funzione era quella di integrare le differenti componenti sociali in una struttura al suo interno armonica? (p. 204).
L’autrice riesce a restituire efficacemente la complessità di un dibattito che aveva come referente, benché non sempre come interlocutore, il dibattito europeo. L’aspetto più interessante è quello relativo alle fratture di razza e, a volte, anche di genere (sebbene questo aspetto avrebbe meritato uno spazio maggiore) che incisero nel cuore stesso della riflessione di scienziati e intellettuali: il linguaggio della razza segnò in maniera indelebile la contrapposizione tra la folla e il mob e il democratic public, come pure le analisi desolanti sulla crisi della democrazia nel corso degli anni venti.

Raffaella Baritono