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Dario Gerardi – La Suisse et l’Italie, 1923-1950: commerce, finance et réseaux – 2007

Dario Gerardi
Neuchâtel, Editions Alphil, 605 pp., Euro 39,00

Anno di pubblicazione: 2007

Il ponderoso volume di Gerardi presenta i risultati di una ricerca sulle relazioni tra l’Italia e la Svizzera negli anni del fascismo, con un’estensione al successivo periodo della ricostruzione. La ricerca è stata condotta sulla scorta di un’ampia pluralità di archivi italiani ed elvetici, sia pubblici sia privati. L’obiettivo dello studio è ricostruire, in termini storiograficamente fondati, le conoscenze acquisite negli ultimi due decenni sulle relazioni tra i due paesi. In tale prospettiva Gerardi intende integrare i risultati, non sempre soddisfacenti, delle ricerche condotte dalla cosiddetta Commissione Bergier, costituita come noto dal governo federale nel dicembre 1996 in risposta alle pressioni internazionali seguite allo scandalo dei fondi non reclamati in giacenza presso le banche elvetiche. La Commissione Bergier concentrò prevalentemente le proprie ricerche sui rapporti con la Germania nazista, lasciando tuttavia in ombra le relazioni con l’Italia fascista. Opportunamente, pur imperniando la ricerca sugli anni cardine della seconda guerra mondiale, Gerardi estende l’analisi a un più ampio arco temporale, individuato, secondo criteri giuridico-istituzionali che tendono però a sovrapporsi largamente con cesure politiche, nei due trattati italo-svizzeri del 1923 e del 1950. Una ricca messe di dati consente di ricostruire in termini fattuali le relazioni commerciali e finanziarie tra i due paesi, ponendo costantemente tali aspetti in risonanza con i rapporti politico-istituzionali.Le relazioni italo-svizzere furono largamente influenzate dal responsabile della politica estera elvetica, il cattolico conservatore Giuseppe Motta, il cui apprezzamento del regime fascista è noto. Ma le relazioni economiche e commerciali tra i due paesi avevano già una salda profondità storica. La presenza di comunità di imprenditori elvetici in alcuni grandi centri urbani italiani sin dai primi dell’800 è dato di per sé sufficiente a richiamare la lunga durata di un interscambio di capitali finanziari e di capitale umano tra i due paesi. La fascinazione verso il fascismo provata dai ceti dirigenti e dai gruppi intellettuali svizzeri rafforzò un mutamento di prospettiva nella valutazione delle capacità e delle qualità della penisola che dette maggior vigore alle relazioni commerciali e alla presenza degli investimenti diretti delle imprese svizzere in Italia. Durante gli anni finali dell’esperienza fascista il legalismo del governo e in generale dei ceti dirigenti elvetici giustificò il mantenimento di rapporti relativamente intensi con la Repubblica di Salò e ambigue relazioni tanto verso gli esponenti del fascismo, quanto verso la Resistenza. La ricerca di Gerardi propone una ricostruzione di grande ricchezza, pur non presentando un quadro sufficientemente convincente della politica del governo elvetico verso i rifugiati civili. Se il governo federale offrì asilo a personaggi come Luigi Einaudi e Adriano Olivetti, il console di Milano Franco Brenni arrivò, nell’ottobre 1943, a chiedere alle autorità di Berna una punta di maggior durezza verso «les juifs qui prétendent être persecutés».

Giandomenico Piluso