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David Bidussa – Dopo l’ultimo testimone – 2009

David Bidussa
Torino, Einaudi, 131 pp., euro 10,00

Anno di pubblicazione: 2009

Con questo agile volumetto David Bidussa prende di petto un groviglio di questioni fondamentali sia per la comprensione del presente e del rapporto che la nostra società conserva con il passato – e con l’esperienza dello sterminio in particolare – sia per quanto attiene al «mestiere di storico». La riflessione prende le mosse da un dato evidente, ovvero l’ormai imminente scomparsa degli ultimi testimoni diretti del genocidio ebraico, ma questa è solo un’occasione per riflettere in maniera critica e doverosamente spietata sulla condizione che contrassegna oggi la nostra rappresentazione di quel passato. La memoria della Shoah è divenuta punto di riferimento centrale nelle mappe mentali del nostro tempo, occupa una posizione di rilievo nel discorso pubblico, tuttavia si tratta di una memoria assai problematica. In un confronto serrato con la migliore riflessione storiografica Bidussa evidenzia i rischi e i guasti della monumentalizzazione della memoria della Shoah. Il genocidio considerato spesso come «male assoluto» rischia di essere sottratto alla storia, divenendo fatto etico, mito funzionale a narrazioni consolatorie e rassicuranti.Questo testo breve ma estremamente denso si rivolge innanzitutto agli storici, sfidandoli a farsi compiutamente carico del loro ruolo. Nell’età della post-memoria, in una stagione in cui scompaiono i diretti testimoni dell’evento, ciò che resterà saranno solo i documenti e dunque sarà più che mai cruciale la capacità di leggerli, interpretarli e interrogarli. Bidussa solleva questioni delicatissime come il rapporto tra narrazione storica e verità, sia in relazione alla sfida dei revisionismi, sia riguardo il rapporto tra verità storica e verità giudiziaria. Mette in guardia ripetutamente contro la tentazione di letture consolatorie e contro i rischi dell’uso politico e invita lo storico a vigilare per contestare, con un’opera di contestualizzazione costante, le rappresentazioni strumentali del passato. Esercitare il mestiere di storico non significa sciogliere nodi, ma ricostruire e interrogare l’intrecciarsi del passato col presente, della testimonianza tanto col suo contesto attuale quanto con il suo referente storico. Le voci delle vittime sono una «fonte sospetta» – come osservava già Primo Levi – eppure preziosa; in alcuni casi costituiscono la migliore via d’accesso alla comprensione di un mondo scomparso. Le vittime non vanno sottratte al loro tempo, debbono essere considerate necessariamente in relazione ai carnefici ed agli spettatori. In questo senso l’a. registra amaramente il ritardo italiano nel fare i conti con la questione degli spettatori e dunque la diffusa incapacità a collocare la tragedia specifica dell’ebraismo italiano nel quadro sociale, culturale e storico in cui è maturata. Questi silenzi hanno strutturato una modalità di autorappresentazione nazionale, ma per un tale silenzio si paga un prezzo. È una fuga, un atto di indifferenza che lascia cicatrici e impedisce di guardarsi allo specchio e di riconoscersi nell’immagine riflessa.

Guri Schwarz