Cerca

David Ward – Carlo Levi. Gli italiani e la paura della libertà – 2002

David Ward
Milano, La Nuova Italia, pp. XXIV-148, euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2002

Nella serie ?Dall’azionismo agli azionisti? diretta da Giovanni De Luna, esce un nuovo contributo alla biografia intellettuale di Carlo Levi nell’anno del centenario della nascita.
Ward parte dagli ?esordi gobettiani? di Levi e dalla militanza in ?Giustizia e Libertà?. Negli anni Venti e Trenta si definiscono gli scopi dell’impegno politico di Levi: l’autonomia, intesa come pratica di libertà individuale, autogoverno e democrazia diretta; lo Stato inteso come somma dei poteri esercitati a livello locale; il totale rifiuto dello Stato pre-fascista, origine del fascismo. La riflessione politica continua negli anni Quaranta, nel saggio Paura della libertà (scritto nel 1940) e nell’ultima parte del Cristo si è fermato a Eboli (scritto tra il 1943 e il 1944), che saranno pubblicati solo dopo la guerra. Dal settembre 1944, nella Firenze libera, Levi riprende a discutere in pubblico, dalle pagine della ?Nazione del Popolo?, il quotidiano del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale di cui era direttore. Per Levi, la resistenza antifascista ? vi aveva partecipato nelle file del Partito d’Azione ? era il primo passo verso un autentico rinnovamento dell’Italia: una rivoluzione non solo politica ma della vita quotidiana, ispirata ai principi della partecipazione e del libero autogoverno.
Si arriva così al terzo capitolo, in cui Ward riprende un altro suo lavoro, Antifascism. Cultural Politics in Italy, 1943-46. Benedetto Croce and the Liberals, Carlo Levi and the ?Actionists?, (Madison 1996). Qui, L’Orologio, il romanzo (uscito nel 1950) in cui Levi racconta come le speranze di una nuova Italia finirono nel giro di pochi mesi insieme al governo Parri, è riletto in parallelo alla polemica contro Benedetto Croce e i liberali che Levi condusse sul quotidiano azionista ?L’Italia Libera? di Roma, che dirigeva dall’estate 1945. Ward sostiene che Levi attribuiva ai liberali le maggiori responsabilità nella crisi del governo e della resistenza, e proietta questo giudizio su L’Orologio dimenticando ? Ward non la cita ? la contestazione verso la DC e il PCI che Levi espresse in uno dei passi più celebri del suo romanzo: la conferenza stampa in cui Parri annuncia la fine del suo mandato con accanto De Gasperi e Togliatti.
L’ultimo capitolo fornisce delle rapide indicazioni sulle forme dell’impegno politico di Levi nel dopoguerra.
Il libro ha un merito: mette in risalto e cita lungamente gli articoli che Levi scrisse sui quotidiani tra il 1944 e il 1946, proponendosi quasi come il seguito della raccolta degli Scritti politici curata da David Bidussa (Torino, Einaudi, 2001). Tuttavia, l’esposizione di Ward è confusa, le note sono poco curate, a volte le notizie e le interpretazioni sono approssimative.
Nell’Introduzione, De Luna riprende un suo articolo del 1994, e si sofferma sulle immagini di Roma che emergono da L’Orologio: quella del potere, immobile, refrattaria al ?vento del nord? che doveva rivoluzionare la vita italiana, e quella sofferente delle borgate. Da qui, De Luna rilegge Levi alla luce dei dibattiti sui rapporti tra Nord e Sud Italia e sul carattere e sull’identità nazionale degli italiani. Ma la generazione del ?movimento dei movimenti? avrebbe trovato più attuale l’aspirazione di Levi a una democrazia ?diretta e autonomistica?.

Filippo Benfante