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Diplomatici, banchieri e mandarini. Le origini finanziarie e diplomatiche della fine dell’Impero Celeste

Roberto Peruzzi
Milano, Mondadori, 223 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2015

Pubblicato nella collana di studi di storia internazionale del Centro interuniversitario
Nicolò Machiavelli, il volume analizza un passaggio cruciale non solo per la storia
della Cina e dell’Asia orientale, ma anche per lo studio delle dinamiche politiche ed economiche
internazionali. Il lavoro è dedicato alla questione dei prestiti internazionali alla
Cina fra la fine dell’800 e la prima guerra mondiale. In quel periodo, infatti, a seguito
della vittoria del Giappone sulla Cina nel 1895, si gettarono i presupposti per l’assoggettamento
dell’Impero Qing agli interessi finanziari delle grandi potenze attraverso un sistema
di prestiti mirati a permettere alla Cina di pagare le indennità di guerra e di costruire
le sue infrastrutture, in primis le ferrovie. In questi sviluppi il ruolo cardine fu rivestito da
alcuni grandi consorzi bancari internazionali, le cui strategie riflettevano nondimeno solo
in parte le dinamiche politiche fra le varie diplomazie coinvolte sul teatro cinese.
L’a. indaga la questione essenzialmente dal punto di vista britannico, utilizzando
le fonti primarie del Public Record Office per studiare le interazioni fra i funzionari del
Foreign Office e la principale istituzione finanziaria britannica in Cina, la Hong Kong
and Shanghai Banking Corporation. Il volume ricostruisce in modo dettagliato i retroscena
politico-diplomatici e la percezione britannica rispetto al primo prestito concesso
alla Cina da un consorzio bancario russo-francese: evento che spinse la Gran Bretagna ad
affermare il ruolo della propria finanza in Asia orientale a difesa dei propri interessi commerciali
attraverso una relazione speciale fra diplomazia e la Hong Kong and Shanghai
Banking Corporation. Questa istituzione, come dimostra l’a., mantenne nondimeno la
propria autonomia nelle strategie finanziarie, anche contravvenendo alle indicazioni del
Foreign Office, a conferma dell’importanza assunta dal potere finanziario quale fautore
di una strategia «globale» di cooperazione internazionale mirata a risolvere le divergenze
di interessi nazionali fra le potenze sul teatro cinese. Come sottolinea l’a., «Al di là dello
specifico contesto cinese, le operazioni finanziarie che lo vedono, almeno in apparenza,
come loro teatro, sono sempre anche operazioni “internazionali” il cui vero orizzonte è
quello delle Borse valori occidentali» (p. 190).
Più che indagare le implicazioni di tali sviluppi nel contesto politico ed economico
cinese e nelle relazioni estere della Cina, dunque, interesse dell’a. è quello di offrire una
più dettagliata analisi delle dinamiche finanziarie e diplomatiche internazionali in cui
collocare la storia cinese dalla fine del XIX secolo fino alla prima metà del XX. Basato su
una solida ricerca d’archivio, il lavoro è punto di partenza, come sottolinea l’a., per una
più ampia comprensione della storia delle relazioni finanziarie fra Gran Bretagna e Cina
nel ’900.

Laura De Giorgi