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e ombre della Patria. Capitoli ottocenteschi tra Foscolo e Carducci

Giovanni Capecchi
Firenze, Le Lettere, 236 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2015

In questo importante volume l’a., docente all’Università per Stranieri di Perugia, si
muove tra letteratura e storia, mettendo a fuoco il tema della patria lungo l’800 e in particolare
nel periodo che precede e segue l’unità nazionale: dall’esilio di Foscolo all’ultima
raccolta poetica di Carducci, nell’anno che chiude il secolo, dalla tensione verso l’unità
nazionale – collante di un’Italia politicamente divisa – alla delusione disgregante successiva
al 1861. La linea portante è dichiarata nella Premessa: la letteratura oggetto d’indagine
aiuta a capire la storia italiana nel periodo considerato e racconta non «i sogni e le
speranze, i progressi e i successi di una Nazione – in via di formazione e poi, finalmente,
nata –, ma […] il tramonto di questi sogni e di queste speranze»: insomma, «le ombre
della Patria» (p. 7).
Il capitolo «Sterminatamente lontana»: la patria degli emigranti (pp. 189-209) è
una rassegna della letteratura di emigrazione fra secondo ’800 e primo ’900, a partire da
Sull’Oceano di De Amicis (1889), reportage della navigazione da Genova a Montevideo su
un piroscafo, microcosmo rappresentativo della nazione, con i due strati sociali divisi tra
l’affollatissima terza classe e la elitaria prima. La convinzione del valore civile della letteratura
sorregge sia la variegata attività culturale del nobile pistoiese Niccolò Puccini (pp.
35-52), sia il culto di Ferdinando Martini per Giuseppe Giusti (pp. 53-74).
Nella nostra letteratura cerca exempla per dare un’identità alla nuova nazione italiana
il latinista e politico toscano Atto Vannucci (pp. 75-99), il quale rinuncia a curare
l’edizione integrale dell’Inno alle Grazie, preferendo limitarsi ad alcuni frammenti, pur di
non scalfire il binomio scrittore-cittadino dell’amatissimo Foscolo (pp. 90-92). Proprio
con un intervento su Foscolo e l’esilio (pp. 9-34) si apre il libro, che si chiude con un altro
«classico», Carducci, di cui la raccolta conclusiva Rime e ritmi sancisce l’estraneità al
’900, il secolo più lontano dall’idea del poeta-vate (pp. 210-225). Dal giovane Carducci
insegnante al liceo di Pistoia prende il via il capitolo dedicato ai rapporti tra Carducci e la
città di Cino (pp. 100-124). A Pistoia trascorre la sua ultima drammatica stagione l’allievo
prediletto da Carducci, Severino Ferrari, che lì muore nel 1905; più felici i tre periodi da
lui trascorsi a Firenze, oggetto del capitolo Le stagioni fiorentine di Severino Ferrari (pp.
125-147). Il capitolo più lungo e denso, Gli scrittori siciliani e l’Italia unita (pp. 148-188),
esamina la pluralità di voci critiche che dalle pagine degli scrittori meridionali (da Verga
a Camilleri) si leva nei confronti dell’Italia unita. La quale – vista da Sud – è lontanissima
dalla patria immaginata negli anni del Risorgimento.

 Gianfranca Lavezzi