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Elisabetta Basile e Michelguglielmo Torri (a cura di) – Il subcontinente indiano verso il terzo millennio. Tensioni politiche, trasformazioni sociali ed economiche, mutamento culturale – 2002

Elisabetta Basile e Michelguglielmo Torri (a cura di)
Presentazione di Enrica Collotti Pischel, Milano, Franco Angeli, pp. 540, euro 2

Anno di pubblicazione: 2002

Non si può evitare un moto di commozione nel leggere la Presentazione di Enrica Colloti Pischel a questo libro, e nell’immaginare, sotto le sue righe, la fatica di chi le scrisse già malata e sofferente, ma dal pensiero ancora limpido. Enrica aveva peraltro concepito e realizzato l’intera sua vita di studiosa e di insegnante all’insegna di un’operosità e di una tenacia che avevano qualcosa di calvinista, e che non conobbero smentite neppure di fronte al tormento della malattia che l’avrebbe poi condotta alla morte, nell’aprile di quest’anno 2003. Scrivendo su di lei nel ?Corriere della Sera?, Arturo Colombo ha giustamente ricordato i suoi grandi meriti nell’aprire la contemporaneistica italiana alla storia dell’Asia: un debito che molti di noi hanno nei suoi confronti.
L’ispirazione di fondo del volume, esposta fin dall’inizio dai due curatori, si potrebbe sintetizzare in una critica dell’?orientalismo?, che Torri affronta prevalentemente dal punto di vista politico-ideologico, Basile da quello economico. Oggetto di critica è una visione ?essenzialista? dell’India e della sua storia, fondata su un insieme di ideés reçues che vanno dall’immobilismo economico e sociale alla fissità e perennità del sistema castale e dell’induismo. Con ovvie variazioni, i saggi qui raccolti (autori fra gli altri M. Prayer, M. Corsi, M. Casolari, A. Consolaro, S. Albertazzi) applicano questa impostazione alla dimensione politica, a quella economica e sociale, a quella culturale. In questa sede, possiamo solo soffermarci, a titolo di esempio, su uno di essi: quello di Giorgio Milanetti sulla storia dello hindi. Pur non essendo riuscito, se non nelle parole della Costituzione, a diventare la lingua nazionale, lo hindi è oggi, tra le molte lingue indiane, la più parlata e diffusa. Inoltre, esso costituisce, quanto meno nell’India del Nord, uno degli elementi di un binomio simbolico (hindi-induismo), contrapposto all’altro binomio urdu-islam indiano. Milanetti mostra invece come, alla fine del Settecento, esistesse un insieme piuttosto confuso di idiomi, distinti secondo linee regionali e sociali, ma con confini assai vaghi tra di loro. Fu la volontà classificatrice degli inglesi a favorire poco per volta, con la complicità di gruppi sociali e intellettuali indiani, la costruzione di una lingua ?identitaria? degli indù. Un processo che si avvalse sia dell’invenzione di una tradizione letteraria, sia della cosiddetta ?sanscritizzazione? (l’introduzione di parole sanscrite). Accadde così allo hindi di essere fissato e consolidato esattamente come accadeva, nello stesso periodo, al sistema castale.
Si può essere perplessi ? è il caso di chi scrive ? su un uso a volte eccessivo del concetto di ?invenzione? introdotto dalla fortunata raccolta di Hobsbawm e Ranger. Si può ritenere che alla base di ogni stereotipo o di ogni concezione essenzialista delle culture ci sia qualcosa di vero. Si può nutrire qualche dubbio, per esempio, sul fatto che il conflitto fra indù e musulmani nasca solo con l’arrivo degli inglesi. Ciò nonostante, attaccare e mettere in crisi pregiudizi e stereotipi è sempre buona cosa. Nonché merito, non unico, di questo libro.

Gianni Sofri