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Elisabetta Mazzetti – Thomas Mann und die Italiener – 2009

Elisabetta Mazzetti
Frankfurt am Main, Peter Lang, 367 pp., euro 56,80

Anno di pubblicazione: 2009

Rielaborazione di una dissertazione presentata all’Università di Düsseldorf, questo studio risulta scandito in tre nuclei tematici: l’immagine dell’Italia elaborata da Thomas Mann, come la si evince dalla sua produzione letteraria e saggistica, dai carteggi, dai diari, dalle interviste; la ricostruzione della rete dei contatti italiani del grande scrittore tedesco; la ricezione della sua opera in Italia dal 1910 alla morte (agosto 1955).Si tratta di una ricerca condotta con grande scrupolo, sia valorizzando alcune raccolte documentarie già pubblicate, sia integrando queste ultime con un lavoro di scavo in archivi sin qui non ancora utilizzati dagli studi su Mann (per esempio quello dell’Accademia dei Lincei, o quello della Fondazione Mondadori), sia infine attraverso un’indagine sistematica sulla stampa periodica.Indirizzato inizialmente (Thomas, insieme al fratello Heinrich, soggiornò per circa due anni, tra il 1896 e il 1898, a Palestrina e a Roma e vi cominciò a scrivere i Buddenbrook) soprattutto nel solco della tradizione goethiana di Bildung, che individuava nella penisola il luogo privilegiato dell’incontro tra spirito e dimensione artistica, lo sguardo di Mann sull’Italia mutò radicalmente di segno dopo la prima guerra mondiale e specialmente durante il fascismo, quando la sua consuetudine con la penisola dovette prima affievolirsi, poi troncarsi. Mario e il mago, sotto questo profilo, va letto come la preoccupata testimonianza di un incantamento collettivo che presto avrebbe contagiato anche la Germania; e, non a caso, la stampa di regime ne denunziò il carattere «anti-italiano». Nell’esilio svizzero e in seguito in quello americano si infittì però negli anni seguenti il rapporto tra Mann e alcuni intellettuali italiani che ne condividevano la sorte di transfuga dalla dittatura: da Ignazio Silone a Nicola Chiaromonte, a Giuseppe Antonio Borgese, che divenne suo genero. Attraverso il contatto con queste figure venne delineandosi un «Asse» ideale della democrazia e dell’umanesimo, polemicamente alternativo a quello siglato dai governi. Nel frattempo la diffusione dell’opera del lubecchese in Italia, promossa nei lustri precedenti soprattutto dalla germanista Lavinia Mazzucchetti e dall’editore Arnoldo Mondadori, veniva nel 1938 proibita dal regime. Il dopoguerra, naturalmente, riaprì a Mann le porte d’Italia, ma con ambivalenze. Se l’Accademia dei Lincei, infatti, lo nominò nel 1947 socio corrispondente e poi (1952) gli attribuì il prestigioso premio Feltrinelli, il governo mostrò di considerarlo un personaggio da trattare con grande diffidenza. Nel 1953 era stato avviato l’iter per conferirgli l’Ordine al merito della Repubblica; ma probabili pressioni vaticane e l’abbaglio di chi, nella nebbia del maccartismo di importazione, vedeva in lui una sorta di «compagno di strada» della cultura comunista fecero sì che la pratica finisse insabbiata. Ma molti altri sono i particolari inediti sui rapporti tra politica e cultura in Italia tra gli anni ’20 e ’50 che affiorano dalla trama di questa bella ricerca.

Marco Meriggi