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Enrico Calamai – Niente asilo politico. Diario di un console italiano nell’Argentina dei desaparecidos – 2003

Enrico Calamai
Roma, Editori Riuniti, pp. 252, euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2003

Dalle memorie di Enrico Calamai, viceconsole presso l’ambasciata italiana a Buenos Aires negli anni che precedono l’ultima dittatura militare argentina (1976-83) e ne anticipano già le dinamiche repressive, emerge il faticoso vissuto di un individuo che tenta di contrastare l’indifferenza delle istituzioni. Tra i nodi del racconto, che è sobrio, lineare e allo stesso tempo sofferto, le molteplici tensioni del giovane diplomatico che all’inizio della carriera nutre ?un’idea astratta e fiduciosa dello Stato, un’entità giusta e solidale, che protegge, difende e aiuta? (p. 37) e si scontra invece con una sorda resistenza al tentativo di fuga dei cittadini di origine italiana. Sarà lui stesso che, di propria iniziativa, e a proprio rischio, se ne farà carico con gli espedienti più vari.
Al contrario del Cile del ’73, dove le immagini dei prigionieri nello Stadio Nazionale fanno il giro del mondo e ne suscitano l’indignazione, la repressione argentina viene infatti condotta nel silenzio; un silenzio che non risparmia neanche l’Italia. Inviato in missione a Santiago per alcuni mesi dopo il golpe, l’autore vive in prima persona la solidarietà di cui si fa protagonista l’ambasciata italiana, che lì accoglie al proprio interno centinaia di rifugiati. Non sarà invece così a Buenos Aires, pochi anni dopo. La rappresentanza italiana blinda le porte e nega a chiunque sostegno; né vengono modificati i rapporti diplomatici e commerciali con l’Argentina.
Al di là delle lacerazioni individuali dell’autore, il testo espone allora con grande lucidità, e questo ne costituisce l’aspetto più interessante, alcune riflessioni su un altro grosso nodo: le motivazioni per cui proprio l’Italia, storicamente legata a questo paese dalla presenza di milioni di emigrati, tace. Impossibile sintetizzare in poche righe i motivi del silenzio. Come illustra Enrico Deaglio nella Prefazione, questi possono essere in parte cercati in una trama complessa, intessuta di interessi economici e dinamiche di carattere politico. Si pensi a ?l’Argentina dell’ENI, della Fiat, della Pirelli, della Magneti, della Ferruzzi; del Banco Ambrosiano, del Banco di Napoli, del Banco Andino, della BNL? (p. 16). Si aggiungano a questo gli stretti legami tra i militari argentini e la Loggia P2 italiana, e la sua influenza sull’allora quotidiano di maggior tiratura nazionale, «Il Corriere della Sera»; motivazione sufficiente ad intuire il perché della scarsa copertura mediatica, tanto più esigua rispetto al Cile, sugli orrori della dittatura. Altro elemento che entra in questo complesso scacchiere, la cautela del PCI italiano, troppo preoccupato della violenza politica in casa propria negli anni di piombo per esporsi, e resistente a sua volta a una rottura con Mosca, che, dipendente dal grano argentino, dichiara legittimo il regime militare e definisce il generale a capo della giunta, Videla, ?un moderato? (pp. 200, 211, 228 e 243).
Anche se apparentemente così distante, la dittatura argentina rimane allora ?una storia italiana, profondamente italiana. [?] talmente vicina a noi, talmente terribile, che la si vuole assolutamente allontanare? (p. 9).

Benedetta Calandra