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Enrico Della Fonte – Il pane e il ferro. Società ed assistenza a Dongo 1899-1922 – 2009

Enrico Della Fonte
Como, NodoLibri, 121 pp., Euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il volume segue l’evoluzione del sistema assistenziale dall’Unità alla Grande guerra, verificandone passaggi e ricadute nel territorio di Dongo. L’a. nel primo capitolo descrive l’economia della zona, che permane preminentemente agricola sino alle soglie del ‘900. Un’agricoltura povera che, sebbene inserita in un contesto proto industriale attraverso un articolato sistema di lavorazione a domicilio e grandi opifici, pagava il protrarsi di una conduzione tradizionale e il progressivo «frazionamento delle aree». Nota di spicco nell’economia di Dongo era l’antica ferriera Rubini e Scalini che si inserirà attivamente nello sviluppo industriale di fine ‘800, dando, peraltro, avvio all’ascesa della dinastia Falck, a cui a lungo sarebbero rimasti intrecciati i destini dell’industria siderurgica italiana. Nel secondo capitolo l’a. passa a descrivere le strutture assistenziali esistenti nell’800 a Dongo, rilevando che, già poco sviluppate, esse si erano dimostrate del tutto inadeguate a fronte dell’aumento della popolazione registrato a fine secolo. Della Fonte sottolinea che sebbene la Lombardia, come era emerso dall’inchiesta parlamentare sulle opere pie, possedesse un «patrimonio del povero» pari a quello di tutto il Mezzogiorno, nella regione le differenze tra campagna e città restavano elevate e le zone rurali non fruivano di adeguati supporti assistenziali. Il terzo capitolo è dedicato ai mutamenti introdotti nel sistema assistenziale cittadino dalla legge Crispi del 1890 (Ipab), in particolare vi sono descritti composizione, attività e bilanci della modificata Congregazione di carità. Il decollo economico dell’area, asserisce l’a., aveva già sortito i suoi effetti modernizzatori anche in campo assistenziale: nel 1882 era stata fondata l’Opera pia Rubini che, prendendo atto del tasso d’immigrazione legato all’attività della ferriera, anticipava le innovazioni che sarebbero state introdotte dalla legge Crispi, sganciando gli aiuti ai bisognosi dal requisito, sino allora richiesto, di dover essere il beneficiato nato e residente in paese. Dopo il 1890 la nuova Congregazione di carità ed opere pie unite, in cui erano presenti membri di tutte le più importanti famiglie locali, continuò ad agire in accordo con il Comune, recependo gli elenchi di povertà, e si integrò con l’assistenza condotta dalla Chiesa sul territorio. A sostenere le maggiori spese della Congregazione e a far fronte alla disperazione e alla povertà lasciata dai caduti sul fronte della Grande guerra non sarà lo Stato ma, ancora una volta, i «benefattori privati», espressione delle stesse famiglie presenti nell’ente, che in tal modo continuavano a legittimare la loro posizione sociale. Della Fonte conclude sottolineando come «l’antica e consolidata attitudine paternalistica di certa borghesia locale [?] resiste, convivendovi, all’iniziativa modernizzante dello Stato, quasi a rappresentare una provvidenziale zona d’ombra, paradossalmente istituzionalizzata, nel frastagliato mondo dell’assistenza in cui l’inquietudine di una società in continuo fermento impone soluzioni sempre nuove» (p. 116).

Luciana Caminiti