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Enrico Miletto – Istria allo specchio. Storia e voci di una terra di confine – 2007

Enrico Miletto
Milano, FrancoAngeli, 292 pp., Euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2007

Dopo il primo libro, Con il mare negli occhi. Storie, luoghi e memorie dell’esodo istriano a Torino (Milano, FrancoAngeli, 2005), Enrico Miletto torna ad affrontare il tema dell’esodo istriano aggiungendo ulteriori elementi alla articolata e complessa vicenda del confine orientale. Il risultato è un lavoro maturo e soddisfacente, capace di offrire una panoramica complessiva della storia della penisola istriana nell’arco cronologico più ampio, che risale al primo dopoguerra e all’affermarsi del fascismo di frontiera. La sua analisi parte dalle politiche di snazionalizzazione ed italianizzazione inflitte alla popolazione slovena e croata dal fascismo, ma si sofferma anche sulle testimonianze degli italiani residenti nella Venezia Giulia che mettono in luce l’esistenza di un forte razzismo antislavo che separa la popolazione italiana da quella slava in «due mondi diversi, chiusi e separati l’uno dall’altro» (p. 31), di cui uno, quello italiano, è visto come «colto ed evoluto, portatore di una manifesta superiorità», mentre quello slavo appare «rozzo, povero, rurale e, quasi fosse senz’anima, inferiore all’altro» (p. 32). Gli anni di guerra, l’ondata di violenze sugli italiani dopo l’8 settembre del 1943, la feroce repressione tedesca e la creazione dell’Adriatisches Küstenland, i bombardamenti degli Alleati, sono gli elementi che, nell’analisi di Miletto, inaspriscono ulteriormente i legami tra le due popolazioni, quella italiana e quella slava, nell’area giuliana. E poi la tanto attesa fine della guerra e la liberazione, portata però non dai «gucciniani eroi giovani e belli» (p. 101), ma dai partigiani titini giudicati con disprezzo dagli italiani «brutti, sporchi e rozzi» (pp. 119-121), capaci solamente di ballare il kolo, danza tradizionale jugoslava. Il passo successivo è rappresentato dalla dificile scelta che irrompe nella vita degli italiani: rimanere nella nuova Jugoslavia socialista o prendere la via dell’esodo? Miletto racchiude il quadro intrecciando e confrontando i due percorsi esistenziali, ma anche le due memorie, di coloro che partono e coloro che rimangono. Il difficile inserimento nelle città italiane, spesso caratterizzato da dinamiche di esclusione e pregiudizio, la vita nei campi profughi, condizioni economiche precarie, sono solo alcuni degli elementi che descrivono l’Italia «matrigna» (p. 214) che accoglie gli esuli, ma è incapace di comprendere a fondo la loro esperienza traumatica. Il libro si conclude con un’ode al cibo, visto come cultura trasnazionale e linguaggio privilegiato, simbolo di identità e di nostalgia dei luoghi abbandonati, ma anche una finestra di apertura, di avvicinamento e di scambio con il «mondo» jugoslavo. Nonostante l’analisi si concentri esclusivamente sul punto di vista italiano (e degli italiani), il libro appare convincente e ben strutturato, documentato sui fondi di alcune strutture comunali e provinciali che gestirono l’assistenza profughi e soprattutto su una mole molto consistente di testimonianze che offrono al lettore una visione ricca ed articolata della complessa vicenda del confine orientale.

Mila Orli?