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er una più Grande Italia. Il cardinale Pietro Maffi e la prima guerra mondiale

Giovanni Cavagnini
Pisa, Pacini, 208 pp., € 21,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume, che ricostruisce la collocazione rispetto al conflitto di Pietro Maffi (dal 1903
arcivescovo di Pisa e nel 1907 elevato al cardinalato) presenta diversi elementi di originalità.
In primo luogo, attraverso la figura di Maffi, pone al centro dell’attenzione i complessivi
aspetti storico-religiosi del conflitto, rilevanti anche per il quadro generale. Inoltre, inquadrando
tali aspetti nella storia di più lungo periodo dei rapporti tra Chiesa cattolica e modernità
e tra cattolicesimo e Stato unitario, ne mette in luce le poste in gioco più profonde.
In tre capitoli l’a. ricostruisce il ruolo avuto da Maffi nel cattolicesimo italiano prima
dell’esplosione della guerra e durante quest’ultima, nonché il suo rapporto con il fascismo
e l’uso fatto della sua memoria dopo la morte, avvenuta nel 1931. Ne emerge il filo rosso
di una precisa proposta politico-culturale dell’ecclesiastico: riportare la società e la cultura
moderne alla Chiesa utilizzandone in modo strumentale alcuni elementi (scienza, stampa,
associazionismo e sacralizzazione della patria) con il fine ultimo di ribaltarne le posizioni di
principio.
A questo orientamento Maffi aderì valorizzando l’uno o l’altro elemento a seconda
dei ruoli istituzionali ricoperti e delle congiunture storiche. Così, prima della nomina ad
arcivescovo di Pisa, da apprezzato studioso di astronomia divenne membro di diverse associazioni
scientifiche laiche ribadendovi la tesi (più ampiamente diffusa tra alcuni scienziati
cattolici suoi contemporanei) che lo studio della natura confermava l’assunto che Dio era
principio e fine di ogni cosa. La funzione episcopale lo indusse invece a puntare soprattutto
sul movimento cattolico e sulla stampa, svolgendo un ruolo attivo, insieme a Grosoli, nella
fondazione della Società Editrice Romana.
La guerra di Libia diede piena evidenza a un aspetto del suo profilo culturale che,
prima sullo sfondo, gli conferì una crescente autorevolezza nella Chiesa e nella politica
italiana: un forte nazionalismo che, se gli consentì di stabilire e mantenere buoni rapporti
con le autorità politiche, restò ancorato alla prospettiva intransigente della restaurazione
cristiana della società.
Questa saldatura gli permise, durante il conflitto, di tenere insieme obbedienza al governo
e fedeltà al papa, invocazione della vittoria delle armi italiane e lettura della guerra
come frutto dell’apostasia della società insistentemente riproposta da Benedetto XV. Lo
sbilanciamento in senso nazionalistico configura un ruolo della sua pastorale di guerra di
«costruzione di consenso» più che di semplice «costruzione di senso» rispetto al conflitto.
Ancora il nazionalismo e il suo innesto in una cultura antimoderna incentrata sui
principi di ordine e autorità paiono costituire, dopo la guerra, i principali fattori della
rapida convergenza di Maffi (realizzata proprio sul terreno della memoria della guerra)
con i settori sociali e politici più conservatori e in particolare con il fascismo. Da qui la sua
soddisfazione per i Patti lateranensi, malgrado le tensioni con il regime che li precedettero
e li seguirono.

 Maria Paiano