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Erminia Irace – Itale glorie – 2003

Erminia Irace
Bologna, Il Mulino, pp. 260, euro 12,50

Anno di pubblicazione: 2003

Movendo dalla ipotesi che la costruzione dell’identità italiana sia il riflesso di processi storici di assai lungo periodo, il libro ripercorre la tradizione culturale attraverso la quale, nel nome dei ?grandi italiani?, all’emergere di un’idea di nazione si è affiancato il tentativo di creare una religione civile, laica e con forti radici civiche, corroborata dal ricordo e dall’esempio di figure virtuose del passato. Trattandosi di una tradizione culturale da ?inventare? e da tramandare, il tema rinvia alla più complessiva costruzione di un pantheon nazionale e all’uso pubblico che della storia degli italiani si è fatto nelle diverse epoche.
Questa storia delle glorie nazionali prende le mosse da Dante Alighieri e da Firenze, personaggio (a partire dagli umanisti) e città (custode in Santa Croce delle ?itale glorie?) esemplari nella fondazione e nella legittimazione del canone letterario attraverso il quale l’immagine culturale degli ?uomini illustri?, tra il Romanticismo e il Risorgimento del primo Ottocento, andò mutando in quella più politica dei ?grandi italiani?. Sappiamo che all’indomani dell’unificazione nazionale, auspice soprattutto i governi di Francesco Crispi, nel perseguire un progetto di pedagogia civile nazionale, la costruzione di una possibile religione della patria si avvalse del ricordo dei ?grandi? del passato, rievocati attraverso rituali della memoria e feste civili, così come fatti oggetto di una variegata narrazione storica da parte di intellettuali e pubblicisti.
Come sempre accade nell’uso pubblico della storia, già nell’Italia liberale il tema avrebbe generato un diffuso conflitto simbolico, in primo luogo tra il mondo laico e quello religioso tradizionale. Fu quanto cercò di superare la religione politica fascista, di cui l’autrice riprende i capitoli relativi all’uso che si fece di San Francesco d’Assisi e di alcune figure (Virgilio, Orazio, Augusto) di un passato ancor più lontano, chiamate a rinverdire un mito di Roma funzionale al progetto totalitario del regime, nella sua presunzione di poter rappresentare l’erede tanto dei Cesari quanto dei papi. Ne derivò una conseguenza ricca di implicazioni, anche per la storia successiva del paese: ?per raggiungere questa rappresentazione, il fascismo dovette drasticamente rinunciare all’immagine laica che aveva contornato le strategie rituali dello Stato italiano in età liberale e improntare la sua propaganda all’evocazione legittimatrice che proveniva dalla sacralità cattolica? (p. 234).
Quando il regime di Mussolini si disgregò e fu insediata la Repubblica, l’eredità fascista sarebbe risultata tale da provocare una diffusa ripulsa verso rituali della memoria che rinviassero con troppa indulgenza a figure e personaggi del passato, fossero ?uomini illustri? o ?grandi italiani?. Il libro si arresta alle soglie del 1945, lasciando aperti molti interrogativi su come il peso del passato influenzò la difficile costruzione di una religione civile e di un pantheon repubblicani. Sono questioni e percorsi di ricerca che altri dovranno riprendere.

Maurizio Ridolfi