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Erwin A. Schmidl – I soldati ebrei nell’esercito asburgico 1788-1918 – 2008

Erwin A. Schmidl
Gorizia, Leg, 118 pp., euro 20,00 (ed. or. Eisenstadt, 1989)

Anno di pubblicazione: 2008

Negli ultimi anni, l’interesse per la partecipazione alla vita militare degli appartenenti alle comunità ebraiche si è accentuato, parallelamente all’evolversi degli studi sull’ebraismo europeo e sulle forme di emancipazione in età contemporanea. Il caso austro-ungarico, che Schmidl indaga in questo saggio, è sicuramente, con quello italiano, il più notevole sul continente. Con largo anticipo su tutti gli altri Stati, infatti, gli ebrei austriaci vennero incorporati nel nuovo esercito che si andava organizzando per volontà di Giuseppe II a partire dal 1788, un provvedimento che portò circa 36.000 ebrei a prendere parte alle guerre tra 1792 e 1815. Si trattava di un mutamento radicale nello status dell’ebreo, che rovesciava il tratto più caratteristico dell’emarginazione, il mancato diritto a portare le armi, e cioè a qualificarsi anche simbolicamente come membro della comunità virile. Benché nei territori degli Asburgo d’Austria la leva generale obbligatoria sia stata introdotta solo nel 1868, la reazione delle comunità ebraiche fu immediatamente e ampiamente positiva, scorgendo nel diritto dovere alla difesa dello Stato la via maestra per l’emancipazione, nonostante alcune forme di renitenza affiorassero già (specie nelle comunità orientali) e nonostante la resistenza mentale della dirigenza politica e militare imperiale. Vale la pena di notare che un simile entusiasmo di fronte alla possibilità offerta dal privilegio delle armi fu manifestato anche dalle comunità del Regno di Sardegna, che sarebbero state le prime in Italia a godere stabilmente (dopo la parentesi napoleonica) dell’accesso alla caserme e alle accademie. Il comportamento in controtendenza degli ebrei galiziani, tra i quali i renitenti erano tra XIX e XX secolo almeno il 30 per cento del totale, non impedì che la rappresentanza nelle truppe di leva fosse costantemente in linea con la proporzione della popolazione ebraica nell’Impero (4 per cento). Tuttavia, la condizione rurale e povera della Galizia, in cui si concentrava quasi la metà della popolazione ebraica, spiega anche come mai, nonostante l’eccellenza delle comunità urbane, gli ebrei nel corpo ufficiali non abbiano mai superato il 2 per cento del totale, una percentuale comunque notevole se si considerano le forti resistenze al reclutamento incontrate nella parte ungherese dello Stato, l’ostracismo di buona parte dell’antica aristocrazia di spada e i pregiudizi tradizionalmente antisemiti radicati in alcune specialità. Il libro affronta tutti questi nodi problematici con estremo acume, confezionando un pregevole saggio di storia sociale militare, piacevole ma anche basato su fonti documentarie rigorose, quegli annuari statistici militari che l’amministrazione austro-ungarica compilava con particolare attenzione ai dati di ceto, di religione e di provenienza linguistica. Non vi è dubbio che l’esistenza di tali fonti agevolerebbe anche il ricercatore italiano, ma lo Stato unitario, per diversi motivi, non diede mai vita a pubblicazioni così raffinate, nonostante in alcuni casi studiosi che hanno affrontato il problema dell’origine sociale e religiosa degli ufficiali abbiano voluto utilizzare in questo senso, incorrendo in un clamoroso errore, gli Annuari militari.Marco

Marco Mondini