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Esercito e fascismo. Soldati e ufficiali nell’Italia di Mussolini (1919-1940)

Luca Falsini
Roma, Aracne, 270 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2014

Al ruolo attribuito a soldati e ufficiali del regio esercito nella politica interna è dedicata da Luca Falsini un’analisi dei rapporti tra esercito e fascismo sino alla guerra. Meno comune di quelli relativi alla preparazione e all’impiego in guerra, sui quali si è scritto di più, e privo pertanto di un consistente retroterra storiografico, esclusi i saggi di Rochat e Mondini, questo studio può dirsi soltanto parzialmente capace di sfruttare tutti i temi ai quali fa riferimento. E tuttavia è un lavoro per alcuni aspetti meritevole di attenzione.
Reclutamento, addestramento e operazioni sono argomenti sostituiti dal coinvolgimento volontario e involontario in ambito politico, come quello causato dalle lusinghe o dagli attacchi sovversivi di cui sono oggetto dal 1919 al 1922 i cittadini in uniforme. Dalla ricostruzione di questi passaggi, forse quella riuscita meglio del lavoro, il coinvolgimento appare frutto di due processi differenti: uno di militarizzazione della politica, evidenziata dalla comparsa di un Esercito rosso, di una Guardia rossa e degli Arditi del popolo nonché, sull’altro versante, delle squadre nazionaliste e fasciste; e l’altro di esasperata politicizzazione della funzione militare, espressa, previa diserzione individuale e di gruppo, dalla piccola armata dannunziana.
Ciò che, se non manca del tutto, doveva forse avere maggiore spazio, sono le tappe istituzionali della smobilitazione della truppa. Meglio seguite invece, ma non oltre quanto già noto, sono le vicende del corpo ufficiali in drammatico soprannumero.
Assumono un certo valore documentario e soprattutto interpretativo le proposte politicamente goffe e fallimentari di inserimento a livello di grande unità o anche di minori reparti, di figure di propagandisti, o forse di commissari politici, fascisti. Il tempo degli ufficiali “P” di democratica memoria era ormai tramontato. Perché la propaganda non era più compito della Forza armata. Era il regime – scrive bene l’a. – a creare nel soldato uno spirito guerriero ancor prima di mettergli un’arma in mano.
Il saggio tratteggia le politiche seguite dal governo in tema di cura del benessere della truppa, sia spirituale e fisico; sia economico, mediante il ripristino dei sussidi alle famiglie dei richiamati; sia morale, affidato alla più larga concessione di decorazioni e, per quanto riguarda gli ufficiali in congedo, alla loro associazione, l’Unuci.
Sempre a proposito delle politiche adottate dal regime il saggio non affronta il rapporto, pur accennato, dei militari appena congedati o ancora in servizio con due corpi armati diversi fra loro come la Guardia regia prima e, una volta sciolta questa, la Milizia volontaria, e si conclude con la risposta dell’autore alla domanda sul livello di fascistizzazione dei soldati italiani che gli appare parziale e proporzionale a quella data dal resto del paese: giudizio corretto essendo i soldati, come tutti i giovani, cavie più che protagonisti di quell’esperimento di ingegneria politica che puntava alla creazione di un italiano nuovo la cui prima generazione in armi non fu tuttavia capace di corrispondere in pieno alle aspettative del regime.

Fortunato Minniti