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Eugenio Curiel. Il lungo viaggio contro il fascismo

Gianni Fresu
Roma, Odradek, 300 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il bel libro di Fresu si inserisce in una riscoperta, da parte dei giovani studiosi, non solo della storia politica ma anche del genere biografico, che molti protagonisti della generazione degli storici sociali formatisi fra gli anni ’60 e ’70 del ’900 avevano trascurato, spesso polemicamente. Sono uscite, dal 2008, varie biografie: tra le altre, di Schiavi, Longo, Secchia e, infine, questa di Curiel. Una biografia che è stata promossa dall’Anpi – il libro è infatti prefato dal presidente Smuraglia – ma che niente ha del lavoro agiografico o d’occasione. La ricerca fa il punto sulla complessa formazione, personale e culturale, di Curiel; sulle discussioni di cui è stato al centro a proposito della sua funzione di ponte fra culture e organizzazioni antifasciste; sulle sue idee riguardo al sindacato; sul suo ruolo nella Resistenza. Come per Matteotti (si pensi alle iniziative di questi ultimi mesi) si può dire che anche per Curiel la sua eroica morte rischia di coprire l’importanza del suo contributo, che invece il libro sottolinea con intelligenza. Si può riassumere che in Curiel si fece strada definitivamente un antifascismo di seconda generazione. È noto che il fascismo aveva puntato molto sulla nazionalizzazione e sull’inclusione nel regime dei giovani, lavoratori e studenti, nella realistica convinzione che le generazioni che avevano conosciuto i conflitti nella democrazia potessero offrire allo stesso regime al massimo un consenso passivo. Curiel affrontò con creatività la questione del sindacalismo fascista, visto come la chiave per raggiungere i giovani lavoratori e suscitare in loro un atteggiamento critico, utilizzando anche il contestato istituto dei fiduciari sindacali, spesso marginalizzato dal sindacato territoriale fascista e dagli stessi imprenditori. Come è noto, l’appello ai «fratelli in camicia nera», promosso da Grieco nel ’36, non aveva suscitato echi favorevoli nei nuclei comunisti clandestini di fabbrica, spesso estremamente diffidenti nel reclutamento: ne abbiamo molte testimonianze, archivistiche e orali. La scelta di Curiel partì da un’analisi marxista estremamente moderna, che indica il lungo e originale percorso da lui svolto a partire da una formazione antifascista culturale e quasi psicologica che era passata per una cultura scientifica, poi criticata ma importante come esercizio di spirito critico e di empirismo, oltre che per l’antroposofia. Curiel ritenne che le contraddizioni del processo di produzione costituissero il luogo di formazione della rappresentazione che individui e classi si facevano della società, spingendolo a verificare nel concreto quelle utopie sindacaliste che vivevano alla periferia del regime. Nel libro, inoltre, si «sdrammatizza» la tanto discussa questione della doppia affiliazione social comunista di Curiel: per la sua generazione l’antifascismo fu innanzitutto un fatto di esperienza sociale e organizzativa, le affiliazioni politiche dipesero dagli incontri. Anche la sua vicenda resistenziale si qualificò per l’apertura a un’esperienza unitaria giovanile, presupposto di una ricostruzione democratica a cui la tragica scomparsa gli impedì di partecipare.

Maria Grazia Meriggi