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Eva Cecchinato – Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra – 2007

Eva Cecchinato
Roma-Bari, Laterza, XVIII-376 pp., Euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2007

In questo denso volume, esito finale di una ricerca di dottorato, Cecchinato ricostruisce la storia del «garibaldinismo», seguendone declinazioni e sviluppi da diversi punti di vista. La vicenda – che l’a. ha ricomposto grazie ad attenti scavi nei fondi dell’ACS, dell’Archivio di Stato di Palermo, dell’Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito – prende le mosse dall’incontro di Teano. La proclamazione del Regno d’Italia comportò lo scioglimento dell’esercito guidato dal Nizzardo: pochi di quei volontari trovarono una sistemazione soddisfacente nelle truppe regolari; per molti altri iniziò una stagione di disadattamento e frustrazione, che dopo Aspromonte sfociò in un’aspra polemica contro le forze di governo. L’alleanza tra monarchia e rivoluzione fu ripristinata, e anzi istituzionalizzata, nella guerra del 1866, il cui esito, però, contribuì piuttosto ad approfondire il solco di diffidenza e ostilità tra le due parti. Dopo il 1876, l’élite del «garibaldinismo disciplinato», rappresentata al meglio da Francesco Crispi, arrivò a occupare posti di potere nel sistema istituzionale. Ma molte cose erano cambiate al di fuori del Parlamento; le truppe di volontari che erano accorse ai nuovi appelli di Garibaldi, a cominciare da Mentana, avevano mutato volto. Grazie a un minuzioso esame prosopografico, Cecchinato individua nella mobilitazione del 1867 la prevalenza di artigiani e studenti del Centro Italia, e una preponderanza di giovani e giovanissimi, che non avevano memoria diretta dei Mille o di Aspromonte. Radicatosi in certe aree, organizzatosi in un variegato universo associativo, connotato dall’eloquente conformazione sociale e anagrafica, il nuovo movimento venato di umori repubblicani (e poi anche socialisti e anarchici) aveva acquisito con la discussa campagna del Vosgi lo status di «partito» internazionale.Nei capitoli centrali, l’a. affronta la questione del «garibaldinismo» come luogo della memoria e come scelta di vita, attraverso alcune incursioni nella fitta pubblicistica dei decenni postunitari. L’ultima parte del libro verte sul periodo successivo alla morte del Generale. Alcuni suoi sodali raccolsero in sede parlamentare l’eredità della Lega della democrazia; altri accentuarono la vocazione internazionalista, ad esempio con la spedizione in appoggio all’insurrezione di Creta – la quale, peraltro, fece emergere i tanti dissidi interni a un movimento conteso tra i discendenti di Garibaldi e varie correnti politiche. Nel nuovo secolo, il «garibaldinismo» dialogò con un Partito repubblicano transitato su posizioni anti-sistema. Tuttavia, nel 1914 il nazionalismo di destra seppe appropriarsi delle sue parole d’ordine, e ancora nell’entre-deux-guerres alcuni potevano utilizzare il nome di Garibaldi per vagheggiare un ordine fascista franco-italiano.Questo studio, che si avvale delle indicazioni offerte da recenti innovativi contributi sulle amicizie politiche transnazionali, sulle culture militari, sull’associazionismo dei reduci, apporta un tassello prezioso alla storia dell’età liberale, illuminando inoltre in tutte le sue sfaccettature un versante nevralgico e contraddittorio, da molti conteso, della «tradizione» risorgimentale nell’Italia unita.

Maria Pia Casalena