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Falcone Lucifero – L’ultimo re. I diari del ministro della Real Casa 1944-1946 – 2002

Falcone Lucifero
a cura di Alfredo Lucifero e Francesco Perfetti, Mondadori, Milano, pp. XXXVI-64

Anno di pubblicazione: 2002

L’importanza dei diari di personalità di rilievo non consiste tanto, come in genere si crede, nelle rivelazioni che contengono, ma nella capacità di disvelare quelle medesime personalità, la loro mentalità, il loro universo interiore, la visione complessiva della realtà maturata, i giudizi sull’altro da sé, che offrono materiali, per contro, per meglio definire chi li formula.
A questo carattere non sfugge il diario di Falcone Lucifero. Nato nel 1898 e, dopo una giovanile adesione al socialismo, inattivo negli anni della dittatura, alla sua caduta divenne prima prefetto di Catanzaro, poi ministro dell’Agricoltura e Foreste nel primo governo Badoglio, in seguito alla liberazione di Roma e all’avvio della Luogotenenza, ministro della Real Casa.
Il suo diario illumina sulla strategia a difesa dell’istituto monarchico nella sua fase preagonica. In questo senso, come pure sottolinea il prefatore Francesco Perfetti, è interessante il tentativo di «accreditare l’immagine di una Monarchia democratica, progressista, popolare, aperta alle istanze sociali, pensosa delle sorti del paese e ossequiente della volontà della gente comune (pp. XIII-XIV). Nasceva dalla consapevolezza che l’immagine prevalente era opposta a tutto ciò. Quel tentativo si ridusse a motivi populistici, capaci di commuovere le plebi meridionali, ma non di mutare il giudizio di coloro che si apprestavano a divenire liberi cittadini di una libera repubblica.
Lucifero ci restituisce, inconsapevolmente, un quadro irrimediabilmente compromesso, come testimoniano i sordi contrasti e dissapori, che attraversavano la famiglia reale. Più che la presunta omosessualità del figlio, a imbestialire Vittorio Emanuele III erano le possibilità di successo e il fascino del figlio, mentre unanime era la risoluta contrarietà nei riguardi di Maria José, della quale preoccupava l’intelligenza politica.
Fallì del resto anche il tentativo, perseguito da Lucifero, di favorire l’identificazione tra monarchia e democrazia opposta al binomio repubblica-dittatura. Si comprende in questo quadro la dura e spietata avversione nei confronti dei dirigenti del Partito d’azione, i più detestati e sempre definiti antipatici. Se può apparire curiosa la definizione di Sergio Fenoaltea , sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel I governo Bonomi, come di una spia del Partito d’azione, se ne intende la ragione: gli azionisti, proprio per la loro concezione secolarizzata della politica, furono i più conseguenti repubblicani. Si poteva trattare con tutti, anche con i comunisti, salvo poi liberarsene, una volta ottenuto ciò che stava a cuore. Ma con gli azionisti ciò non era possibile.
Va segnalata la sciatteria dell’editore: l’indice dei nomi è pieno di lacune, anche in casi di agevolissima risoluzione.

Paolo Soddu