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Federico Caprotti – Mussolini’s Cities. Internal Colonialism in Italy, 1930-1939 – 2007

Federico Caprotti
Youngstown-New York, Cambria Press, XXVI-290 pp., ? 49,95

Anno di pubblicazione: 2007

Scritto da un non storico, questo libro non è di facile lettura. Il lettore fa fatica, infatti, a seguire la ricostruzione di quella gigantesca impresa che fu la bonifica delle paludi pontine e l’edificazione delle città nuove. E ciò per due ragioni di fondo. Innanzitutto perché non infrequenti sono nel testo i preamboli, le ripetizioni e i riepiloghi. E, in secondo luogo, per la disinvoltura con cui vengono maneggiati i concetti, costruite le associazioni, stabiliti i parallelismi. A titolo d’esempio ricorderò soltanto che non si capisce che senso abbia descrivere la colonizzazione interna facendo ricorso, da un lato, alla nozione gramsciana di egemonia, ed evocando, dall’altro, un progetto eugenetico.Tuttavia, ancorché lo studioso di human geography non abbia la stessa cassetta degli attrezzi che ha chi fa il mestiere di storico, riesce a mettere a fuoco, abbastanza nitidamente, una questione di una certa rilevanza. Rileggendo la vicenda delle città di Mussolini, coglie bene, infatti, quel carattere di «modernismo reazionario» che pure caratterizzò la politica del fascismo. Le città di fondazione dovevano essere una risposta alle città del capitalismo, considerate focolai d’infezione sociale, e dovevano dimostrare che il fascismo era in grado di edificarle in un’area in cui la natura era da secoli ostile, poiché il paesaggio, paludoso, era inabitabile e infestato dalla malaria.Il progetto era eminentemente moderno, concepito su larga scala, pianificato razionalmente e sostanzialmente tecnocentrico. In altre parole, come rileva giustamente l’a., lo Stato fascista fece un enorme ricorso alla tecnologia per realizzare una sorta di utopia fascista ambientale. I mezzi tecnologici impiegati furono di due tipi: sistemi idrovori stabili, di pompaggio e drenaggio, che erano veri e propri impianti «mangia acqua», e macchine mobili. Fra queste ultime particolarmente apprezzate erano le inglesi Fowlers, ribattezzate dai lavoratori «favole». A tenere alta la bandiera dell’orgoglio industriale nazionale erano invece i trattori Pavesi. Macchine potenti erano anche i Fiat 40, resi celebri perché Mussolini ne utilizzò uno come podio per il discorso relativo alla fondazione di Aprilia.Nelle paludi pontine furono anche piantati alberi di eucalipto, importati dall’Australia, perché ritenuti capaci di assorbire grandi quantità di acqua. Ma, naturalmente, più che sottolineare la loro funzione, il regime enfatizzava al massimo l’impiego di mezzi tecnologici moderni. Il messaggio politico che si voleva trasmettere era chiaro ed era il seguente: il fascismo non era pregiudizialmente antimoderno, ma cercava di contrastare gli effetti devastanti che la modernizzazione aveva prodotto in ordine ai valori, agli stili di vita, e, più in generale, alle relazioni tra gli individui. E dunque non esitava a ricorrere alla tecnologia, ma se ne avvaleva per ristabilire un ordine naturale, in una natura ostile, fra la città e la campagna, in modo da costruire le condizioni per creare l’uomo nuovo fascista.

Loreto Di Nucci