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Federico Imperato – Aldo Moro e la pace nella sicurezza. La politica estera del centro-sinistra, 1963-68 – 2011

Federico Imperato
Bari, Progedit, 232 pp., Euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2011

Le carte di Aldo Moro, depositate presso l’Archivio centrale dello Stato, costituiscono una fonte di primaria importanza per gli storici dell’Italia repubblicana, anche per ciò che riguarda la politica estera, come ben mostra questo analitico e documentato studio (privo però di un indice dei nomi) incentrato sugli anni del primo centro-sinistra. Moro si era occupato di politica estera dal 1948, dal suo primo incarico governativo come sottosegretario agli Esteri, quando le sue posizioni sul Patto Atlantico, vicine a quelle dei dossettiani, ne avevano provocato il temporaneo allontanamento dai vertici del Partito. Quindici anni dopo, la dialettica all’interno del governo sui temi di politica estera lo vedrà come protagonista insieme a un uomo che era stato molto vicino a Dossetti, Amintore Fanfani, così diverso per temperamento e inclinazioni: alla prudenza, all’equilibrio e alla moderazione di Moro faranno spesso da contraltare la vivacità, l’attivismo e l’impetuosità del politico aretino. Sullo sfondo, nel tentativo di giocare anch’essi una propria partita, ma con posizioni quasi sempre opposte, i leader socialisti Giuseppe Saragat e Pietro Nenni e il «convitato di pietra» di questa vicenda (scomparso ancora prima che iniziasse), Enrico Mattei. Il compromesso cercato, e quasi sempre trovato, da Moro fu quello della ricerca della «pace nella sicurezza», nel tentativo di contribuire alla distensione attraverso una politica di mediazione tra le due superpotenze, mantenendo però la propria posizione all’interno dell’alleanza atlantica e della Cee. È una vera e propria tattica, quella di Moro, attuata (non sempre con il favore del Vaticano, nonostante quanto affermi l’a. a p. 34) con alterna fortuna nelle diverse crisi che i governi da lui guidati dovettero affrontare: dalla mancata attuazione della forza missilistica multilaterale alla politica gollista, dall’ammissione della Cina all’Onu alla guerra in Vietnam, dai rapporti con i paesi del blocco sovietico alle relazioni con i vicini mediorientali e della sponda Sud del Mediterraneo, sempre attenti a non essere tagliati fuori, attraverso la cosiddetta «politica della presenza», dalle decisioni di nostro specifico interesse (o presunto tale), con la creazione di «direttori» ad hoc. Il bilancio finale che trae l’a. (e sul quale sostanzialmente si può concordare) su questa fase della politica estera e, in generale, del centro-sinistra è in equilibrio tra chi ritiene che i governi guidati da Moro siano stati caratterizzati da «un trionfo di immobilismo» (Di Nolfo) e chi sostiene che il sistema fosse stato comunque «messo in movimento» (Baget Bozzo, Tassani). Fermo restando che la crisi del luglio 1964 aveva segnato la fine della spinta riformatrice dei primi governi di centro-sinistra, non si può negare ai governi Moro di aver cercato «di allargare gli orizzonti della politica estera italiana da una ristretta dimensione europea e mediterranea a un respiro e a una rilevanza globale» (p. 231). Ambizioni forse velleitarie e destinate a fallire, ma che denotavano una visione del mondo in seguito spesso mancata alla nostra politica estera.

Giovanni Scirocco