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Federico Marti – I Rutheni negli Stati Uniti. Santa Sede e mobilità umana tra Ottocento e Novecento – 2009

Federico Marti
prefazione di Orazio Condorelli, Milano, Giuffrè, XXXIII-633 pp., Euro 65,00

Anno di pubblicazione: 2009

La corposissima ricerca di Marti, corredata da ampia bibliografia, appendice documentaria e basata su fonti provenienti dall’Archivio della Congregazione per le Chiese orientali, si occupa dello spinoso problema della conservazione dell’identità religiosa di un gruppo, i Rutheni, proveniente in gran parte dai territori orientali dell’Impero austro-ungarico, che sperimenta, tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900, una considerevole emigrazione verso l’America del Nord e l’Australia.Di credo cattolico ma appartenenti alla Chiesa uniate e cioè cattolica ma di rito orientale o greco, i Rutheni arrivati negli Usa fecero parte di quell’ondata migratoria che aveva origine in Europa orientale e meridionale che rafforzò in maniera consistente la presenza cattolica in un paese ancora a maggioranza protestante.L’approccio adottato da Marti è quello di storia della Chiesa e del diritto canonico ed ecclesiastico. Il problema principale che l’a. si pone è infatti quello di studiare «la questione dell’integrazione del cattolicesimo orientale nei territori latini» (p. XXVIII), una questione complessa e, come si vede bene nel volume, disseminata di conflitti di non facile soluzione. A Marti interessano le relazioni tra la Chiesa di Roma e i cattolici negli Usa, ma soprattutto i rapporti e i conflitti all’interno del cattolicesimo americano, conflitti che porteranno si alla creazione di una Chiesa ruthena autonoma ma anche alla dispersione di una parte della comunità uniate. L’interesse di questo libro per una rivista come «Il mestiere di storico» sta certo in questi problemi, ma soprattutto nel fatto che la vicenda migratoria dei rutheni, considerati qui più un gruppo che si definisce in base all’identità religiosa che a quella nazionale (non a caso l’a. preferisce chiamarli sempre rutheni e mai ucraini sfumando così la dimensione nazionale della loro identità), e la loro «lotta» per il mantenimento di questa identità religiosa con i suoi riti e le sue tradizioni liturgiche e culturali suggeriscono anche altre importanti piste di ricerca. Innanzitutto come si è detto quella dell’integrazione in un’area dominata dalla presenza di una «gerarchia cattolica latina già costituita sul territorio» (p. XXVII); quindi quella del rapporto con quel processo di «americanizzazione» messo in atto dalla Chiesa cattolica (ma non solo) per contrastare, o meglio, per non subire il nativismo, il malcontento nei confronti dei nuovi flussi migratori, i sentimenti xenofobi e anticattolici e perché no anche le violenze provocate da questi sentimenti; e ancora quella della identità stessa degli immigrati non sempre disposti ad una completa assimilazione; quella delle linee di faglia del nazionalismo all’interno della comunità dei migranti e, per finire, quella delle relazioni internazionali tra gli Stati Uniti e le nazioni d’origine degli immigrati rutheni (l’Impero austro-ungarico in particolare). Tutti questi piani si intravedono in maniera rapsodica nelle pieghe di un libro che, pour cause, li declina dentro la dimensione del diritto canonico, ma che costituisce un’utile lettura anche per chi si occupa di migrazioni e di minoranze nazionali.

Daniela Luigia Caglioti