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Ferdinando Cordova, Clemente Gavagna, Mario Themelly – Le scelte di allora. I militari italiani in Montenegro dopo l’8 settembre – 2001

Ferdinando Cordova, Clemente Gavagna, Mario Themelly
Milano, Franco Angeli, pp. 155, euro 17,56

Anno di pubblicazione: 2001

I saggi di Ferdinando Cordova e Mario Themelly, introducono il Diario di Clemente Gavagna, sottotenente degli alpini, corredato da una raccolta di testimonianze, scritte nelle settimane successive all’8 settembre 1943, da altri militari italiani di stanza in Montenegro. Il racconto dei protagonisti intreccia i motivi della disfatta politica e istituzionale, ma anche morale, che investì lo Stato e la società italiani al momento della capitolazione bellica, con l’emergere dei conflitti suscitati dalla lotta di liberazione nazionale delle popolazioni occupate e dallo scoppio della guerra civile yugoslava.
La vicenda del battaglione ?Aosta? è emblematica del repentino ribaltamento di ruoli da esercito occupante a esercito sconfitto che le truppe italiane vissero nei Balcani dopo l’8 settembre 1943. Con la catena dell’obbedienza militare crollarono le strutture pratiche e organizzative che avevano sorretto fino a quel momento la vita al fronte e, in ogni ordine e grado della gerarchia militare, l’esercito fu dilaniato da scelte antitetiche, che contribuirono a ?dividere e a opporre gli uni agli altri gli stessi Italiani? (Gavagna, p. 52). Opposte percezioni della sconfitta ispirarono, da un lato, la scelta di rifiutare ogni ingiunzione dei comandi tedeschi e, dall’altro, la volontà di continuare la guerra a fianco della Germania nazista. Mentre un senso di pragmatismo ispirò in alcuni la ricerca di un compromesso con le forze di liberazione nazionale, un antifascismo consapevole spinse altri a confluire nel movimento partigiano. Per non cedere le armi ai tedeschi, alcuni reparti dell’?Aosta? decisero di collaborare dapprima con i cetnici e poi con i partigiani comunisti. Ma la natura della guerra civile, scoppiata all’interno alla società montenegrina, impedì ai reparti italiani l’attraversamento, simbolico e materiale, dei fronti interni. Dubbi, incertezze e assenza di una precisa scelta di campo decretarono il fallimento dell’impresa. Arresisi ai tedeschi, gli alpini furono deportati in massa nel lager di Deblin, in Polonia.
Al centro del volume è il tema, rigorosamente declinato al plurale, delle scelte compiute dopo l’8 settembre dai militari italiani in Montenegro. Il ventaglio delle testimonianze ha il pregio di complicare il problema al di là della dicotomia fra le due tesi, opposte ma speculari, di morte o rinascita della patria (quest’ultima ripresa da Cordova e sviluppata nel senso di una resurrezione della patria risorgimentale affrancata, dopo l’8 settembre, dalle ipoteche del fascismo). Infatti, proprio il trauma della sconfitta sembra riattivare, con esiti non univoci e non lineari, un complesso apparato di miti e simboli nazionali, interiorizzati attraverso le generazioni fra età liberale e fascismo. Ciò che di più interessante affiora dalla lettura di queste pagine è il profilo sociologico e culturale di una generazione di sottufficiali di complemento, esponenti di una piccola borghesia nata e cresciuta durante il ventennio, la cui presa di distanza dal fascismo avviene in nome di miti patriottici filtrati da un’educazione sentimentale ancora sostanzialmente fascista. Dal Piave al Risorgimento, dalla monarchia sabauda al senso dell’onore militare, questi miti non coincidono, certo, con quella, ma neppure da quella possono essere considerati completamente distinti.

Lidia Santarelli