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Ferdinando Cordova – Verso lo Stato totalitario. Sindacati, società e fascismo – 2005

Ferdinando Cordova
Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, pp. XIV-320, euro 17,00

Anno di pubblicazione: 2005

Con questo libro Cordova torna a misurarsi con l’evoluzione del movimento sindacale nella storia novecentesca. In particolare, due sono le vicende sulle quali richiama l’attenzione la struttura del volume, articolato in due lunghi saggi e due nutrite appendici documentarie. In primo luogo, si ricostruisce la dialettica interna al fascismo, tra il 1926 e il 1928, riguardo alla legge sul sindacato unico di diritto pubblico, al ministero delle Corporazioni e allo ?sbloccamento? della Confederazione sindacale fascista. Si evidenzia, così, il contrasto tra il sindacato di Rossoni e la politica di Bottai all’interno delle prospettive totalitarie del regime. In secondo luogo, l’autore analizza l’illusione riformista di alcuni autorevoli organizzatori della CGdL (Rigola, Maglione, Baldesi, D’Aragona, Calda, Colombino, Azimonti e Cabrini) che promossero nel 1927 un’associazione di studio ?destinata a fiancheggiare, in pratica, le strutture corporative del regime? (p. 109). L’ambigua scelta dell’Associazione nazionale studi (ANS) e della rivista «Problemi del lavoro» è seguita nei suoi sviluppi organizzativi; condannata subito da Bruno Buozzi, allora in esilio, e tollerata a lungo da Mussolini, per le possibili ricadute propagandiste, l’associazione fu soppressa nel 1940.
Asciutto e diretto, il libro si snoda su tali distinti percorsi, che appaiono collegarsi non appena matura l’analisi interpretativa che il titolo addita al lettore: il volume ripropone, infatti, il tema del rapporto tra società e politica e dell’intervento dello Stato nelle dinamiche sociali. Il sindacato fascista, cosa ben distinta dalle corporazioni, era sorto come sindacalismo politico nel pluralismo liberale, quando, come rievocò l’ANS nel 1927, ?tutti i partiti tendevano ormai ad appoggiarsi a un sindacato? (p. 293). Dal 1928 Rossoni, piegandosi alla concezione totalitaria del suo partito, accetterà lo snaturamento della sua organizzazione poiché nell’ordinamento fascista tutto quanto concerneva il campo sociale era considerato squisitamente politico. Sarà, paradossalmente, proprio questa dinamica del mito corporativo ad affascinare alcuni esponenti dello sconfitto sindacalismo riformista italiano. Avendo il regime condotto il ?movimento [sindacale] nello Stato? (p. 293), gli ex sindacalisti della CGdL sostenevano, sulla base di ?antiche suggestioni ideologiche? (p. XIV), che il fascismo era ?realtà scaturita da principi nostri, che si sono imposti? (p. 110): grazie alle corporazioni vi sarebbe stato ?più sindacalismo oggi di ieri?, perché la classe operaia avrebbe potuto reggere l’economia ed esplicare la funzione politica con gli stessi diritti della classe capitalista (p. 115).
Si tratta di accenti che hanno un’eco profonda. Forse è proprio da studi sulla pretesa dei partiti politici di rappresentare in modo esaustivo la società organizzata che bisogna ripartire per comprendere le continuità tra prefascismo e fascismo, tra fascismo e postfascismo. Ricordando, come scrisse Buozzi da Parigi nel marzo 1927, che a nulla vale il riconoscimento dei sindacati dove non esista libertà d’organizzazione.

Andrea Ciampani