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Follie separate. Genere e internamento manicomiale al San Niccolò di Siena nella seconda metà dell’Ottocento

Martina Starnini
Pisa, Pisa University Press, 192 pp., s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2014

Pubblicato nella collana del Premio Pieroni Bortolotti, Follie separate segna il debutto monografico di Martina Starnini. Delle opere prime il volume compendia in capitoli dai titoli originali e simbolici – Le figlie di Eva e i figli di Adamo; Una grande madre per un grande uomo; ecc. – i più comuni limiti e pregi. Tra i primi, un certo schematismo interpretativo volto a estendere meccanicamente le macro-prospettive analitiche assunte al contesto in oggetto; tra i secondi, la volontà di comprendere in forme non superficiali il passato nelle sue pieghe più intime a partire da una sentita e ammirabile passione per gli studi storici.
Fondata metodologicamente sulla comparazione di due serie archiviste: le cartelle cliniche delle annate 1880 e 1889, l’opera si apre con il proposito di guardare alle vicende del San Niccolò da una prospettiva di genere (p. 7), indagando il «corpo saturo di sessualità» della donna narrata dalle carte della follia nel contesto di una società rurale saldamente patriarcale (pp. 8 e 30). In realtà, tale approccio si rivela timidamente problematizzato. Circoscrivendosi al criterio della «rigida separazione dei sessi su cui l’istituzione manicomiale era organizzata» (pp. 7 e 26), esso è solo in parte valorizzato come chiave di lettura culturale strutturata e strutturante di relazioni tra soggetti dinamici agenti entro precisi campi di possibilità.
Non è possibile dar conto qui estesamente dei molteplici elementi d’interesse della ricerca, per es. l’analisi della traiettoria delle divergenti carriere morali di «donne intollerabili e […] uomini incontenibili» (p. 73) e delle rispettive fantasie e inquietudini. È però utile sottolineare le puntuali descrizioni dedicate alla radicata condizione femminile di vulnerabilità sociale e miseria. Scrive l’a.: «per molti pazienti, la “cura” poteva essere rappresentata semplicemente dalla possibilità di un vitto nutriente e sicuro» (p. 48); e riflettendo sul «destino biologico» (p. 96) delle internate osserva: «più che “madri snaturate”», si trattava di «madri esauste. Prostrate dal duro lavoro nei campi, dalla nutrizione scarsa e dal gran numero di gravidanze»; donne cui «era preclusa […] l’aspirazione a quel modello materno […] propagandato e raggiunto ancora una volta soltanto dalle donne delle classi più agiate» (pp. 108-109).
Paradossalmente, inaugurato dall’intento di guardare alla follia da una prospettiva di genere sulla scorta di «una commistione di narrazioni» (p. 12), il testo è sospinto a descrivere – giocoforza – l’opprimente realtà classista che fagocita le ricoverate condannandole «a un’esperienza traumatica, tragica e totalizzante» (p. 15). Per chi apprezza i magistrali studi di Scheper Hughes è noto trattarsi solo di un paradosso apparente; ed è un peccato che questa realtà di ingiustizia e sfruttamento vivamente proposta al lettore non solleciti l’a. a interrogarsi sui meccanismi economici e culturali da cui essa promana. Ma questo, forse, è un segno dei tempi.

Andrea Scartabellati