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Francesca Porto – La frontiera della democrazia. La Repubblica Romana del 1849 nella provincia di Fermo – 2002

Francesca Porto
Introduzione di Marco Severini, Ancona, Affinità elettive, pp. 182, euro 15,49

Anno di pubblicazione: 2002

La Repubblica romana ha rappresentato un episodio piuttosto breve della nostra storia nazionale, eppure il suo rilievo e il suo messaggio rimangono ancor oggi di altissimo profilo anche sotto l’aspetto morale. La sua vicenda ha coinvolto un po’ tutta l’Europa, culminando nel dramma di una grande nazione repubblicana che travolge una sua più piccola e appena costituita consorella. Fatto, come noto, che ebbe grandi ripercussioni, come attestano le testimonianze di personaggi di altissimo livello culturale e politico quali Michelet, Quinet, Hugo, per non ricordare i nostri Mazzini, Garibaldi, Pisacane.
Ben vengano, dunque, ricerche di carattere locale che permettono di puntualizzare meglio realtà e singoli momenti di un evento di così ampia portata. Anche perché un’altra questione va sottolineata: si può forse affermare, come viene fatto nel volume di cui si parla, che la Repubblica Romana, grazie anche al recente centocinquantenario, goda oggi di un rinnovato interesse storiografico; di fatto, però, i frutti di questa nuova stagione tardano a manifestarsi in maniera tangibile.
Il libro di Francesca Porto indaga la realtà repubblicana nella provincia di Fermo. Provincia non povera economicamente, ma arretrata socialmente come un po’ tutte le aree sottoposte al governo pontificio. L’autrice parte dai primi entusiasmi per la ventilata politica riformista di Pio IX e perviene ad analizzare i momenti cruciali dell’esperienza repubblicana, per proseguire poi la sua narrazione fino quasi all’Unità nazionale. Soffermandosi sulle ragioni del mancato coinvolgimento della popolazione verso i nuovi ideali repubblicani, lo attribuisce in buona parte al nuovo ceto dirigente, incapace di formulare un’adeguata politica verso la popolazione delle campagne. È questa un’antica polemica, sviluppata in termini più generali dapprima negli scritti gramsciani; ma bisognerebbe chiedersi come in pochi mesi una classe dirigente nuova, per molti versi impreparata, avrebbe potuto imporre una diversa politica a una popolazione da secoli sottoposta all’oppressione e alla vessazione del clero, unico vero punto di riferimento di ogni aspetto della vita sociale ed economica. Basterà ricordare le straordinarie proporzioni che aveva assunto il fenomeno delle insorgenze in quei territori solo pochi decenni prima per rendersi conto della situazione.
Giusto, d’altro canto, il rilievo mosso dalla Porto alla radicalità politica perseguita dai nuovi dirigenti. Radicalità che risulta caratteristica di altre realtà locali della consistente repubblica che si era appena formata, e che era peraltro in linea con le direttive romane. Ma costituisce davvero un titolo di merito non sapersi adeguare alla situazione politica e sociale con la quale si ha concretamente a che fare?
In conclusione, il volume della Porto si presenta come un utile strumento, corredato com’è da una documentazione di prima mano sino ad oggi sconosciuta agli studiosi.

Lauro Rossi