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Francesco Germinario – Fascismo e antisemitismo: Progetto razziale e ideologia totalitaria – 2009

Francesco Germinario
Roma-Bari, Laterza, XVI-120 pp., euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2009

«Ridurre l’antisemitismo alle rampe di selezione di Birkenau sembrerebbe il percorso migliore per osservare il nesso stretto fra antisemitismo e totalitarismo; al contrario, il nostro sospetto è che quest’angolo di osservazione riduca paradossalmente la capacità di valutare fino in fondo proprio quel nesso stretto» (p. XI). Così l’a. nell’esordio del suo libro che intende dimostrare che l’antisemitismo ha avuto un ruolo specifico nel regime fascista segnando il passaggio al totalitarismo.Germinario chiarisce fin dalle prime pagine che il problema dell’antisemitismo contemporaneo per quanto appartenga alla famiglia dei razzismi, non significa che esso sia con quelli interscambiabile. Il razzismo come cultura, come pratica sociale, come retorica pubblica, soprattutto nei confronti dei popoli colonizzati, è un’esperienza che ha attraversato e caratterizzato tutte le società politiche europee tra ’800 e ’900. Eppure non tutte le società europee per questo erano dittatoriali e ancor meno queste hanno attraversato un’esperienza totalitaria. Questo perché quel razzismo, sostiene l’a., «muoveva dalla convinzione dell’esistenza di razze esterne alla civiltà che potevano essere integrate in quest’ultima dopo aver subito un processo vigoroso di civilizzazione» (p. 10). Diverso lo schema culturale sotteso all’antisemitismo dei regimi dittatoriali. In quel caso scatta una scissione tra Natura e Civiltà, per cui quella distanza non solo non è colmabile, ma al contrario si tratta di mantenerla e anzi di rafforzarla. Quello che nei regimi liberali è una politica di difesa volta all’inclusione previa la trasformazione o la metamorfosi dell’individuo «discriminato», nei regimi totalitari diviene mobilitazione contro il «nemico interno» nei cui confronti non si può mettere in atto alcuna politica né riconciliativa né inclusiva. L’antisemitismo fascista avrebbe dunque questa fisionomia e avrebbe i suoi momenti di definizione non con la guerra italo-etiopica e poi con l’Impero quando si avvia la legislazione discriminativa nei confronti degli africani, ma molto prima. Un profilo che Germinario riconduce a diverse famiglie culturali e politiche attive da anni in Italia: nella costruzione di un universo culturale fatto di narrativa popolare e di antigiudaismo cattolico già nell’800; nella propaganda della rivista di Giovanni Preziosi «La vita italiana» e nel linguaggio di Maffeo Pantaleoni; nella costruzione del diritto fascista che ha in Carlo Costamagna un suo esponente di punta; nella definizione del razzismo spiritualista che con Evola esprime il progetto di un’aristocrazia di razza fondata sul timore non solo della contaminazione, ma anche del complotto perseguito da nemici irriducibili identificati con il gruppo ebraico.Una convinzione che esprime anche un conflitto dentro il fascismo opponendosi a quella parte che nella prima metà degli anni ’30 aveva fatto del corporativismo l’ipotesi di costruzione dello «Stato nuovo» e ora invece intravista come poco selettiva, indifferenziata, anti-elitista (pp. 74-75). Un aspetto che conduce il fascismo a identificarsi col nazismo, prima ancora che nei fini, nei principi e nell’ideologia, ovvero aspirando a divenire una perfetta società totalitaria.

David Bidussa