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Francesco Germinario – L’altra memoria. L’estrema destra, Salò e la Resistenza – 1999

Francesco Germinario
Torino, Bollati Boringhieri

Anno di pubblicazione: 1999

Germinario si misura con una questione non secondaria, sia sul piano storiografico che politico: quella della relazione politico-culturale tra il neofascismo e la Repubblica di Salò.
In assenza di una seria tradizione storiografica della destra sul fascismo, la cultura politica neofascista, per contrastare la storiografia antifascista, è stata costretta in passato a far ricorso a studiosi e storici estranei all’area della destra. Dall’americano A.J. Gregor essa ha preso in prestito l’idea di una modernizzazione accelerata e autoritaria prodotta dalla dittatura; di R. De Felice ha usato soprattutto il rifiuto della categoria storico-politica di “nazifascismo”. L’a. sottolinea che la cooptazione di questi storici tradisce la consapevolezza della fragilità e della debolezza della rielaborazione storiografica prodotta dalla destra.
All’assenza di rielaborazione storiografica la destra neofascista ha supplito con la rielaborazione del lutto. Quest’ultima, applicata alla vicenda della RSI, ha finito col costruire “un’altra memoria”, capace di fornire “ulteriori argomenti e motivazioni al ruolo antisistemico che il neo fascismo aveva assunto fin dagli inizi nella società italiana”.
Sicché, alla vulgata antifascista dello stato-fantoccio in mano ai nazisti, si è contrapposta una memoria alternativa fondata su una “immagine lirica ed estetizzata della RSI”, animata dai “giovani volontari […] accorsi a Salò per difendere l’onore della nazione e la parola data all’alleato”. La memoria di Salò ha consentito, dunque, di esaltare la prova eroica offerta dall’élite della nazione, “orgogliosamente contrapposta a un popolo-plebe”, degnamente rappresentato dal badoglismo.
All’interno di questa autocelebrazione, l’autore individua anche una memoria differenziata, che corrisponde alle diverse anime del fascismo repubblicano, dalla sinistra dei socializzatori alla destra tradizionalista evoliana, alla lettura deideologizzata di Anfuso e Graziani. Ma, nell’insieme, la memoria neofascista passa attraverso la rimozione dell’antisemitismo della RSI, attribuito soltanto a limitati settori estremisti e filonazisti.
Pur nella varietà di sottolineature della memoria neofascista, comune a tutti è la “creazione di una differenza antropologica ed esistenziale fra la RSI e il Regno del Sud”, “fra la virtù e il disonore, i pavidi e i guerrieri, i mercenari e gli idealisti”. In tale contesto, non può accettarsi l’idea della guerra civile. Gli eredi di una “élite guerriera”, infatti, non possono concedere dignità nazionale a una resistenza “eterodiretta”, intesa come vile espressione della violenza della “feccia slava e balcanica”.
Germinario cita alcune rare eccezioni in siffatto panorama ideologico: Luciano Garibaldi, secondo il quale l’antisemitismo durante la RSI “raggiunse il parossismo”; o Giano Accame, l’unico studioso neofascista “disposto a riconoscere le origini nazionali e autoctone della Resistenza” e dunque lo svolgersi di una guerra civile, nella quale si scontravano “il senso dell’orgoglio nazionale e gli ideali di libertà”.

Vittorio Cappelli