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Francesco Masciari – La codificazione civile napoletana. Elaborazione e revisione delle leggi civili borboniche (1815-1850) – 2006

Francesco Masciari
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 398 pp., euro 30,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il libro di Masciari sulla codificazione civile napoletana giunge a riempire un vuoto storiografico molto evidente sia dal punto di vista della storia del diritto che da quello della storia politico-istituzionale. La ricerca si articola essenzialmente in due parti. Nella prima viene esaminato il processo di elaborazione del Codice civile borbonico, che si stende lungo gli anni compresi tra il 1815 e il 1819. Giovandosi di nuovi, importanti ritrovamenti archivistici, l’autore ricostruisce il processo che conduce la monarchia napoletana alla scelta «moderna » di adottare un sistema codicistico di schietto impianto francese, in parallelo alla analoga opzione che la porta, nel 1816, a mantenere tutta l’impalcatura delle leggi amministrative già adottate nel corso del periodo murattiano. Nel giro di quattro anni viene dunque messo a punto e promulgato un codice civile assai simile a quello napoleonico, cui spetta anzitutto la funzione di legittimare un assolutismo che ambisce ad assumere una forte connotazione efficientistica e progressiva. La cesura del 1820, tuttavia, apre una nuova pagina in questa storia che sembrava aver già raggiunto un suo sostanziale equilibrio. Nel clima successivo alla drammatica fine della rivoluzione costituzionale, caratterizzato da forti pulsioni conservatrici e insieme dalla necessità, imposta a Lubiana, di una qualche trasformazione del sistema costituzionale in senso consultivo, la riforma del Codice diventa il terreno privilegiato per un confronto continuo tra i vari spezzoni dell’establishment circa le linee fondamentali del sistema sociale destinato a sorreggere la monarchia borbonica. A partire dal 1822 fino agli anni ’40, è tutto un susseguirsi di commissioni, di progetti individuali e di gruppi di lavoro aventi ad oggetto la ridefinizione dei contenuti del Codice, soprattutto in corrispondenza dei suoi snodi politicamente più nevralgici, costituiti dal diritto di famiglia e dai meccanismi successori. In sostanza, siamo di fronte ad un ininterrotto dibattito (anche se ovviamente tutto interno alle sedi istituzionali e al mondo degli specialisti) che la Corona mantiene vivo non tanto in vista di una qualche modifica complessiva del sistema codicistico, ma al fine di monitorarne continuamente il funzionamento e di misurare il grado di soddisfazione sociale che esso produce nell’ambito delle élite. La gran quantità di progetti e di pareri, infatti, prodotti dai vari soggetti ufficiali preposti alla riforma del Codice nel corso del periodo considerato dal nostro volume non ebbe quasi nessuna conseguenza sul piano legislativo, ma permise tuttavia al monarca di intervenire sulla materia civilistica con una serie di micro-riassestamenti continui, realizzati tramite rescritti, decreti o semplici «ministeriali», grazie ai quali il Codice del ’19 venne riadattato alle esigenze di una base sociale di cui il sovrano si considerava l’unico interprete. La «riforma» fu così utilizzata come strumento per conservare l’esistente e adeguarlo ad una domanda sociale di cui il sovrano, in assenza di canali di tipo rappresentativo o anche solo mediatico, cercò di cogliere gli umori tramite la voce dei tecnici del diritto.

Luca Mannori