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Francesco Petrini – Il liberismo a una dimensione. La Confindustria e l’integrazione europea 1947-1957 – 2005

Francesco Petrini
Milano, Franco Angeli, pp. 333, euro 26,00

Anno di pubblicazione: 2005

Il trading state è diventato, all’incirca dalla fine degli anni Settanta, oggetto di crescente attenzione storiografica, per capire il modo in cui la nascita dello Stato interventista in economia abbia segnato la conduzione della politica estera in età contemporanea. Tutto sommato, però, ancora poco sappiamo del modo in cui gli interessi organizzati abbiano risposto a quelle trasformazioni, se ne siano stati protagonisti o solo soggetti passivi, se e come siano intervenuti nel corso dei processi decisionali. Petrini ha scelto con sensibilità di studiare come la principale associazione degli industriali italiani abbia reagito all’integrazione europea. La ricerca, che si fonda sull’archivio della Confindustria ma anche su molte altre fonti di corredo, è originale e ben condotta. In sei capitoli si affrontano tappe fondamentali di questo percorso, tra cui i vari tentativi di liberalizzazione degli anni Quaranta, la CECA, la fallita Comunità europea di difesa, la nascita del Mercato comune. Il pregio maggiore del lavoro consiste nella ricostruzione analitica delle posizioni confindustriali in materia di liberalizzazione degli scambi. L’autore si muove ottimamente sugli aspetti tecnici dei negoziati, tra clausole di salvaguardia, tariffe e dazi e offre un contributo importante alla conoscenza non solo delle posizioni confindustriali ma della diplomazia italiana nell’integrazione europea. Si documenta così il passaggio dell’industria italiana dai timori verso una costruzione europea che appariva inizialmente molto dirigista a una cauta accettazione del mercato comune. Il punto di svolta, a suo avviso, è stato il funzionamento della CECA, rivelatosi assai attento alle esigenze italiane. Importante appare la mediazione dei vertici confindustriali tra settori merceologici e tra piccola e grande industria, almeno sotto la guida di Costa. Il libro non scioglie un nodo storiografico importante, quale le ragioni ultime dell’accettazione dell’integrazione europea da parte della Confindustria. È auspicabile che lo studio prosegua e investa i rapporti tra le motivazioni economiche e quelle politiche (la guerra fredda, il timore dei sindacati e delle sinistre). Il taglio peculiare della ricerca ? ossia le reazioni confindustriali ? non consente di interrogarsi sulle decisioni politiche che stavano a monte dei negoziati tecnici. Alcuni giudizi espressi sulle motivazioni generali delle politiche di integrazione (per esempio sul piano Vanoni) non persuadono perché non tengono conto di partite politiche (sindacali, riforma agraria) o economiche (rapporto agricoltura-industria, scelte finanziarie e monetarie) che si giocavano su altri tavoli a cui sedevano anche gli industriali e che condizionavano il modo in cui il governo italiano guardava all’integrazione.

Carlo Spagnolo