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Francesco Piva – Storia di Leda. Da bracciante a dirigente di partito – 2009

Francesco Piva
Milano, FrancoAngeli, 300 pp., euro 28,00

Anno di pubblicazione: 2009

Leda Colombini è una bracciante di Reggio Emilia divenuta militante del movimento sindacale negli anni ’50 fino a ricoprire il ruolo di dirigente nazionale; raccogliendone il racconto di vita e intrecciandolo con fonti scritte e una ricca letteratura, Piva ci restituisce uno spaccato importante della storia politica dei primi anni dell’Italia repubblicana. Il lavoro infatti va ben oltre i limiti della biografia o di una storia del Partito comunista e dell’allora collaterale movimento sindacale; riesce ad abbracciare invece un aspetto nuovo e fondante della vita nazionale: la partecipazione politica degli ultimi, braccianti, donne, quanti altri fino a pochi anni prima erano stati condannati al silenzio e alla subordinazione. Tanti anni di dibattiti sulla «Resistenza tradita», su ciò che l’Italia non è stata, hanno finito per mettere in ombra un aspetto di così radicale rinnovamento com’è l’irrompere delle masse sulla scena politica. Leda appunto fa parte di questa schiera anonima che improvvisamente e di prepotenza accede alla cittadinanza. Un aspetto importante del libro sta nel ricostruire e analizzare la modalità di questo accesso e con essa il difficile percorso di formazione di militante e dirigente politico-sindacale, reso ancor più difficile dall’essere la nostra protagonista donna. Vista dal gradino più basso la storia d’Italia ci riserva prospettive più ampie, ci aiuta a rimettere in discussione alcuni scenari che apparivano logori e scontati. Per esempio la formazione delle organizzazioni politico-sindacali, veicoli di crescita per i nuovi protagonisti, talvolta deprivati di istruzione e di cultura, necessitati a risalire una china faticosissima per stare sulla scena politica. È un’epopea, quella di Leda, la cui grandezza e drammaticità Piva riesce a restituirci cercando riscontri al racconto della protagonista. Davvero belle per esempio le pagine in cui si ricostruisce la partecipazione ai corsi organizzati dalle scuole di partito ai diversi livelli di militante e di dirigente. O quelle in cui si raccontano le prime esperienze fatte in parti diverse del paese, dalle aree bracciantili pugliesi e siciliane alle risaie del Vercellese. La dimensione nazionale del ruolo dirigente si conquistava anche con l’apprendimento della lingua italiana, strumento necessario per mettere a contatto tra loro gli innumerevoli mondi del lavoro e dare vita a un unico movimento. Il punto di vista femminile mette in evidenza alcuni aspetti importanti. Piva insiste sulla «dialettica mai risolta tra autonomia femminile e politica generale» (p. 11), ovvero sulla scelta di dare vita a organismi specificamente femminili nel movimento politico-sindacale, a somiglianza del movimento cattolico. È un altro aspetto della difficile conquista della cittadinanza politica attraverso la formazione dell’attitudine alla partecipazione. Un aspetto troppe volte dato per scontato nelle ricostruzioni apologetiche del ruolo dei partiti politici nell’Italia repubblicana, e invece ancora da indagare e a cui la storia di Leda dà un contributo importante.

Rosario Mangiameli